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Allarme Onu: Per la tragedia di Gaza urge un nuovo slancio internazionale

Giuseppe Caffulli
29 maggio 2025
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Allarme Onu: Per la tragedia di Gaza urge un nuovo slancio internazionale
Sigrid Kaag interviene alla seduta del 28 maggio 2025 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. (UN Photo/Manuel Elías)

«Dobbiamo passare dalle parole ai fatti. Occorre agire», ha detto il 28 maggio Sigrid Kaag, coordinatrice dell’Onu per il processo di pace in Medio Oriente, prendendo la parola davanti al Consiglio di Sicurezza a New York.


Oltre 600 giorni di guerra, decine di migliaia di morti, una popolazione allo stremo, una comunità internazionale sempre più divisa. È il tragico bilancio di quest’ultimo conflitto tra Israele e Hamas, iniziato con l’attacco del 7 ottobre 2023 e precipitato in una crisi umanitaria che le Nazioni Unite definiscono ormai «un abisso».

Al centro delle critiche, tra gli altri aspetti, c’è la gestione israeliana degli aiuti umanitari. Sigrid Kaag, la coordinatrice dell’Onu per il processo di pace in Medio Oriente, il 28 maggio, in un briefing al Consiglio di Sicurezza, ha invocato l’imperativo morale del diritto umanitario e denunciato «l’uso della fame» come arma di guerra.

È passato oltre un anno e mezzo dall’attacco di Hamas contro Israele, che ha causato la morte di 1.200 persone e il rapimento di 251 persone (militari e civili di varie nazionalità). La rappresaglia israeliana, a dir poco brutale, ha spazzato via gran parte della leadership militare di Hamas, ma ha anche trasformato Gaza in una «landa desolata», come l’ha definita Sigrid Kaag.

Le stime più recenti parlano di almeno 54mila vittime, tra cui oltre 20mila bambini. La comunità internazionale osserva attonita gli attacchi israeliani su scuole, ospedali e campi profughi. E varie organizzazioni, a cominciare dal Programma alimentare mondiale (Pam, il principale partner del governo italiano per la fornitura di aiuti a Gaza – ndr), denunciano il rischio che «l’intera popolazione di Gaza patisca una gravissima carestia».

Nel mirino dell’organizzazione Onu, il nuovo sistema imposto da Israele per il controllo degli aiuti umanitari, che ha come scopo evitare che Hamas possa controllare la distribuzione delle derrate alimentari (tolta alle agenzie Onu, come l’Urnwa apertamente ostracizzata da Israele), ma che, di fatto, vessa ulteriormente la popolazione, costringendo a lunghe code e a lunghi trasferimenti per poter sperare in un sacco di riso o di farina. Il Pam parla apertamente di «assalto alla dignità umana».

La scorsa settimana, per esempio, due persone sono morte e decine sono rimaste ferite durante un’irruzione in un magazzino alimentare nel centro di Gaza. Episodi simili si ripetono da quando il nuovo sistema è entrato in funzione nelle zone sotto il controllo israeliano.

L’interpretazione più drammatica è che la restrizione mirata degli aiuti possa far parte di una strategia israeliana per sfollare ulteriormente i palestinesi, in particolare dal nord della Striscia.

Nella sua relazione del 28 maggio scorso al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, Sigrid Kaag ha cercato di offrire un quadro della situazione. «Dalla fine del cessate il fuoco a marzo, i civili sono costantemente sotto tiro, confinati in spazi sempre più ristretti e privati di soccorsi salvavita». E ha ricordato che l’assistenza umanitaria deve essere fornita «in conformità con il diritto internazionale» e che «gli aiuti non sono negoziabili».

Quello che appare chiaro, secondo la coordinatrice (ad interim) dell’Onu, è che la crisi non potrà essere risolta solo con la forza. Serve riconoscimento reciproco, giustizia e un nuovo slancio diplomatico. In questo senso, la Conferenza internazionale ad alto livello per la risoluzione pacifica della questione palestinese e l’attuazione della soluzione dei due Stati, prevista tra il 17 e il 20 giugno a New York e convocata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, è vista come un’opportunità decisiva per rilanciare la soluzione dei due Stati, basata sulle risoluzioni Onu (adottate dal 1948 ad oggi) e sugli accordi di Oslo (dei primi anni Novanta).

Sigrid Kaag (che in precedenza è stata ministra nel governo olandese e ha ricoperto diversi incarichi presso varie agenzie e programmi delle Nazioni Unite, tra cui Unrwa, Unicef e Undp) ha ricordato come a Gaza «la morte sia compagna della vita quotidiana», e che oggi i civili si salutano con un «ci vediamo in paradiso» al posto del consueto «arrivederci».

Mentre l’Onu fa pressione per cercare di riattivare il meccanismo multilaterale degli aiuti, crescono le tensioni anche tra i principali attori internazionali. L’Unione europea, per bocca del suo alto rappresentante Kaja Kallas, ha definito «intollerabile» l’uso sproporzionato della forza e ha criticato l’intenzione israeliana di militarizzare gli aiuti. Il Regno Unito ha ammonito Israele, affermando che un’escalation militare a Gaza è «del tutto sproporzionata» e ha chiesto un cessate il fuoco immediato.

Anche gli Stati Uniti, pur ribadendo il pieno sostegno a Israele, hanno chiesto a Hamas di liberare gli ostaggi e accettare le proposte di tregua avanzate da Washington, Doha e Il Cairo (si ricordi che la tregua precedente è stata interrotta il 18 marzo dalla non disponibilità del governo Netanyahu a passare alla fase 2, prevista dagli accordi negoziali di gennaio per ottenere la progressiva liberazione di tutti gli ostaggi, in cambio del ritiro delle forze armate israeliane dalla Striscia – ndr). Sul terreno, la realtà appare sempre uguale a sé stessa: ogni giorno porta nuovi bombardamenti, nuovi morti, nuovi sfollati.

All’interno d’Israele l’opinione pubblica è polarizzata. E la società civile cerca il modo di far sentire la sua voce contro una gestione della crisi che reputa fallimentare. L’ex premier israeliano Ehud Olmert, ad esempio, in un editoriale pubblicato dal quotidiano Haaretz il 27 maggio, ha accusato il governo Netanyahu di condurre «una guerra politica privata, senza scopo né obiettivi». E le accuse della Corte penale internazionale per crimini di guerra contro i vertici israeliani aumentano l’isolamento diplomatico di Israele.

Oggi, più che mai, la comunità internazionale si trova di fronte a un bivio storico. La guerra di Gaza è una tragedia umana, politica e morale che richiede risposte urgenti. «Dobbiamo passare dalle parole ai fatti. Dobbiamo agire», ha detto Kaag.

Perché ogni giorno che passa la desolazione di Gaza rende più flebile la possibilità di un riassetto regionale che un tempo appariva realizzabile, con la prospettiva dei due Stati per i due popoli. Ma soprattutto ogni giorno che passa, allontana ogni barlume di pace.

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