
«I carri di Gedeone», «Ira di Dio», «Freccia di Bashan»… I nomi delle offensive israeliane fanno regolarmente riferimento a episodi o a concetti biblici. Una scelta non casuale.
La scelta dei nomi per le operazioni militari israeliane è avvolta nel mistero. A volte sono poetici («Cieli blu» a Gaza nel 2005), spesso eccentrici come «House of Cards», usato in Siria nel 2018. Di regola sono termini offensivi, come Breakwater (Frangiflutti) per l’operazione in Cisgiordania tra il 2022 e il 2023, e tutti carichi di un forte simbolismo.
L’ultima operazione, destinata a portare alla conquista e all’occupazione della Striscia di Gaza, è stata soprannominata «I carri di Gedeone». Un riferimento diretto a un guerriero biblico la cui storia è narrata nel Libro dei Giudici: ultimo figlio del capo del clan più povero di Israele, Gedeone viene scelto da Dio per sconfiggere una tribù avversaria, i madianiti, con soli trecento uomini.
«L’episodio dimostra che la fede e l’astuzia possono trionfare sull’inferiorità numerica», spiega Tomer Persico, ricercatore dei fenomeni religiosi contemporanei presso l’Istituto Shalom Hartman. «È raro che il riferimento biblico sia così chiaro. La scelta è deliberata: è un modo di inquadrare l’azione militare all’interno di una continuità storica e morale legata alla sopravvivenza».
La Bibbia, fonte di ispirazione
Nel testo, i madianiti sono presentati come associati ad Amalek, il nemico assoluto di Israele, in particolare quando «venivano nel paese per devastarlo» e «distruggevano tutti i prodotti del paese fino all’ingresso di Gaza» (Gdc 6,1-6). Questo termine, Amalek, è stato utilizzato in modo particolare da Benjamin Netanyahu per giustificare la portata della sua operazione nella Striscia di Gaza.
In 75 anni di esistenza, e quindi di guerra, l’esercito israeliano ha dovuto essere fantasioso nel dare un nome alle sue molteplici offensive. Finora le principali operazioni del XXI secolo a Gaza hanno avuto nomi con connotazioni belliche e difensive: «Piombo fuso» nel 2008, «Margine protettivo» nel 2014, «Guardiano delle mura» nel 2021 e «Spade di ferro», dal 7 ottobre 2023.
La Bibbia, che svolge un ruolo centrale nel pensiero sionista e nella cultura israeliana, è stata spesso fonte di ispirazione. Nel dicembre 2024, un’operazione in Siria è stata nominata la «Freccia di Bashan», riferendosi alle terre bibliche nella Siria meridionale conquistate dagli israeliti.
Quattro nomi su dieci hanno connotazioni bibliche
Nel 1972 l’operazione di rappresaglia per l’assassinio degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco fu denominata «Ira di Dio». Anche tecnologie militari come la Fionda di Davide, un intercettore di missili balistici, e la stazione d’arma telecomandata Samson (Sansone) hanno preso il nome da importanti figure bibliche. In totale, tra il 1948 e il 2007, quasi il 40 per cento delle 76 operazioni israeliane portava nomi biblici, secondo uno studio condotto da Dalia Gavriely-Nuri, ricercatrice presso l’Università Bar-Ilan. Un altro 30 per cento si basava sul campo semantico della natura: l’operazione «Prima pioggia» a Gaza nel 2005 o l’operazione «Alba» del 2022, sempre nell’enclave.
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Esperta di rappresentazioni della guerra nella cultura israeliana, la ricercatrice parla di «denominazioni annientatrici» che contribuiscono al meccanismo di normalizzazione della guerra: «Le pratiche militari diventano naturali, positive e legittime; fanno parte della continuità di antiche tradizioni, continuità che ha contribuito alla formazione di un’etica culturale riguardo all’uso della violenza militare», scriveva Dalia Gavriely-Nuri in un suo articolo pubblicato nel 2009 sulla rivista Sage. «Naturalizzando, ricorrendo a eufemismi e legittimando, questi nomi di fatto “annientano” la percezione delle conseguenze negative fisiche, emotive, morali ed economiche».