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L’Università di Betlemme, fucina di giovani professionisti palestinesi

Manuela Borraccino
11 luglio 2024
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L’Università di Betlemme, fucina di giovani professionisti palestinesi
Studenti nel campus dell'Università (cattolica) di Betlemme, nei Territori palestinesi di Cisgiordania. (foto Bethlehem University)

L’unico ateneo cattolico dei Territori palestinesi è stato fondato nel 1973. La professoressa Muna Matar, stretta collaboratrice del rettore, racconta l’impatto della guerra tra Hamas e Israele sulla vita dell'università, senza dimenticare, però, anche i motivi di soddisfazione.


«Quando è scoppiata la guerra, in quei giorni di ottobre (2023), il semestre era solo agli inizi. È stato orribile: avevamo appena accolto le matricole, avviato i corsi, c’era l’entusiasmo che sempre accompagna una nuova partenza, ed ecco che di colpo è stato bloccato e chiuso tutto. Con l’esperienza maturata quattro anni fa con il Covid-19, siamo immediatamente passati alla didattica a distanza e al lavoro da casa. Oggi, dopo nove mesi, cerchiamo per quanto possibile di stare vicino alla popolazione di Gaza e speriamo che questa tragedia finisca».

Dopo il Covid il trauma di una nuova guerra

Parla così a Terrasanta.net la professoressa Muna Matar, 64 anni, docente emerita di Scienze informatiche dell’Università di Betlemme e attualmente braccio destro del rettore per gli Affari accademici, nei giorni in cui si sarebbe dovuta svolgere la sessione di laurea per oltre 750 studenti fra i 3.078 iscritti nel 2024 all’ateneo. La sessione era prevista per l’11 e il 12 luglio ed è stata rinviata a causa della guerra: «Per quanto sia uno dei passaggi più rigorosi e solenni della vita universitaria – spiega la professoressa – la laurea è soprattutto una festa. E non c’è nulla da festeggiare con un conflitto in corso. Abbiamo aperto diversi corsi online, fra i quali quello di Ostetricia e altri di Infermeria, a un centinaio di studentesse di Gaza perché possano frequentare a distanza, come è stato richiesto dal nostro ministero dell’Istruzione a tutte le università palestinesi. Le lezioni vengono registrate, in modo che ciascuno possa fruirne quando può. Anche i nostri corsi e docenti di Servizi sociali tengono le linee aperte con la gente di Gaza: fosse anche solo per fornire ascolto e sostegno psicologico. Cerchiamo, con il telefono e Internet, di essere il più possibile vicini e dare l’aiuto che possiamo, in attesa che tutto ciò finisca».

la professoressa Muna Matar

La professoressa Muna Matar. (foto Bethlehem University)

La guerra, soggiunge Matar, ha avuto un impatto devastante sulla vita universitaria già provata dall’occupazione. «Da molti anni, com’è noto, la mobilità è bloccata nei Territori: siamo ad appena 8 chilometri da Gerusalemme – ricorda l’accademica – e non possiamo andarci; siamo ad appena un’ora dal mare, e la mia nipotina di 6 anni non ha mai potuto vederlo. I posti di blocco [dei militari israeliani – ndr] vengono installati in modo arbitrario in ogni momento, molti dei nostri studenti sono stati arrestati senza motivo. Dopo i primi mesi in cui tutto era chiuso, ci è stato permesso di ripristinare gradualmente i corsi in presenza e oggi siamo in modalità mista. La guerra, però, ha causato la perdita del lavoro per moltissime famiglie, che da nove mesi sono senza stipendio e non possono pagare le rette; senza le quali, siamo in difficoltà, a nostra volta, nel pagare gli stipendi ai nostri impiegati e docenti. Abbiamo attivato servizi di counselling, ma è chiaro che ci troviamo in un circolo vizioso che deve finire».

Una vita in università

Muna Matar si è iscritta a 17 anni alla facoltà di Matematica dell’Università di Betlemme, appena tre anni dopo la fondazione – nel 1973, su impulso di papa san Paolo VI – dell’unico ateneo cattolico nei Territori palestinesi, ed ha svolto l’intera carriera nell’istituzione guidata dalla congregazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane (o Lasalliani, dal cognome del fondatore san Giovanni Battista de La Salle): dopo un master all’università dell’Oregon ha insegnato per 11 anni Scienze informatiche e dopo un dottorato di ricerca in Belgio è rientrata all’università di Betlemme per dirigere l’omologo dipartimento. Da alcuni anni è assistente del rettore per gli Affari accademici e ha svolto un ruolo di primo piano nell’adattare ai cambiamenti del mercato del lavoro i corsi dell’università, frequentata per il 77 per cento da donne e per l’81 per cento da musulmani.

L’ateneo si rinnova

Alle facoltà di Lettere, Scienze dell’educazione, Servizi sociali, Scienze infermieristiche, Amministrazione aziendale, Turismo e gestione alberghiera, si è aggiunta da qualche anno quella di Ingegneria, scaturita dalla pre-esistente facoltà di Scienze e Matematica. «Negli ultimi anni è emersa una forte domanda nell’ambito delle cosiddette scienze applicate – spiega Matar – e delle applicazioni industriali di discipline come la fisica, la matematica, la chimica, la biologia. Abbiamo progressivamente adattato gli insegnamenti all’innovazione tecnologica con la creazione di Ingegneria, articolata nei dipartimenti di Ingegneria informatica, Biotecnologie, Ingegneria ambientale e delle energie rinnovabili, e altri corsi basati su simulazioni, modelli matematici e applicazioni concrete delle scienze pure».

Un momento di pausa nei cortili dell’Università di Betlemme. (foto Bethlehem University)

Anche grazie a questo aggiornamento continuo e alla qualità della didattica, l’Università di Betlemmme vanta un alto tasso di occupabilità (job-placement) in un contesto assai penalizzato dall’occupazione israeliana: nel 2023 risultava occupato il 59 per cento dei neo-laureati, che in quell’anno sono stati 774 nelle varie discipline, fra i quali l’81 per cento donne, in netta crescita rispetto al 2022 quando i laureati erano stati 669 (con un 78 per cento di donne).

Gli sbocchi occupazionali

«Già solo con la facoltà di Scienze infermieristiche abbiamo il 100 per cento di occupati negli ospedali israeliani e palestinesi – rimarca Muna Matar – poiché sono professioni richiestissime: la maggior parte degli iscritti ai corsi di infermieristica sono studentesse, mentre i corsi di fisioterapia sono per lo più frequentati da maschi. Anche i nostri laureati in Servizi sociali trovano subito lavoro in Israele: alcune fra le nostre storie di successo sono basate anche sul fatto che prepariamo i nostri studenti a superare i concorsi in Israele».

Il 52,24 per cento degli studenti proviene da Betlemme e dalle due cittadine limitrofe di Beit Jala e Beit Sahour, poco più di un terzo da Gerusalemme (il 37 per cento), il 10 per cento da Hebron. Una ventina di studenti da altre località. L’obiettivo resta quello di formare professionisti che possano contribuire alla creazione e alla vita dello Stato palestinese.

Le barriere con cui fare i conti

«La vita in Palestina – chiosa Matar – è aspra e difficile: il limite più grande è la mancanza di mobilità, nessuno può spostarsi liberamente; per farlo deve smuovere montagne. Nonostante tutto, noi facciamo il possibile per costruire dei buoni cittadini, oltre che professionisti qualificati. Oltre ai piani di studio afferenti alle varie facoltà, ad ogni studente viene offerta la possibilità di maturare fra 60 e 80 crediti formativi corrispondenti al sistema universitario europeo in materie a scelta: scienze politiche, lingue straniere (fra le quali l’ebraico), arte, educazione fisica, diritto, economia».

La speranza è che un giorno nasca un vero e proprio Stato di Palestina, il cui tessuto sociale possa mettere a frutto anche le competenze dei laureati dell’Università di Betlemme.

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