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L’anno scorso il 70 per cento dei giornalisti ammazzati nel mondo erano palestinesi di Gaza

Terrasanta.net
19 giugno 2025
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L’anno scorso il 70 per cento dei giornalisti ammazzati nel mondo erano palestinesi di Gaza
Palestinesi piangono la morte del giornalista Ahmed Mansour, ucciso in un attacco aereo israeliano all'ospedale Nasser di Khan Yunis, nella Striscia di Gaza, 8 aprile 2025. (Abed Rahim Khatib/Flash90)

Mentre Israele bombarda Teheran, spostando sull’Iran il principale teatro di guerra, i due milioni di palestinesi imprigionati nella Striscia di Gaza senza acqua né cibo escono ancora più di scena. Con oltre 200 giornalisti e operatori uccisi e il divieto di ingresso alla stampa estera, l’informazione stessa a Gaza è vittima di guerra.


Il 9 giugno l’esercito israeliano ha ucciso il fotografo freelance palestinese Moamen Abu Alouf e tre paramedici, nel quartiere Al-Tuffah (zona est della città di Gaza). I paramedici – Hussein Muhaysin, Wael Attar e Bara’ Afanah – stavano evacuando alcuni feriti dall’area di Al-Mahata quando sono stati colpiti dalle forze israeliane.
Abu Alouf, un reporter non ancora ventenne, molto attivo anche attraverso i social (il suo profilo di Instagram aveva 84mila follower), si trovava con la squadra dell’ambulanza per documentare il lavoro di soccorso, quando è avvenuto l’attacco. Pochi istanti dopo, droni israeliani hanno aperto il fuoco su altri soccorritori che cercavano di recuperare i corpi dal luogo dell’attacco. Sotto le raffiche di proiettili, tutti sono stati costretti a ritirarsi.
In un video girato all’inizio della guerra, Abu Alouf mostrava il paramedico Hussein Muhaysin mentre salvava una bambina tra le fiamme dopo che Israele aveva bombardato una scuola per famiglie sfollate nel quartiere di Al-Daraj. Ora, sia Muhaysin che Abu Alouf hanno patito la stessa sorte.

L’uccisione di Moamen Abu Alouf non è certo un caso isolato. «Da quando è iniziata la guerra nella Striscia di Gaza, non si era visto un numero così elevato di operatori dei media caduti in un conflitto bellico recente», scrivevamo nell’ottobre 2024 a un anno dall’inizio dell’invasione israeliana. La guerra è continuata e sono continuate le uccisioni di giornalisti gazesi e operatori dell’informazione.

→ Leggi anche: A Gaza, in un anno, uccisi più di 110 giornalisti

Con la morte di Abu Alouf, il numero di giornalisti uccisi a Gaza dall’ottobre 2023 ha superato quota 200. Reporters sans frontières, il Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj) e 130 media chiedono protezione internazionale per i lavoratori del settore medico e per i giornalisti nella Striscia. Ma anche che finalmente venga permesso l’accesso dei giornalisti stranieri in quello che è considerato uno dei teatri di guerra più sanguinosi di sempre.

Nel Comitato per la protezione dei giornalisti, associazione indipendente con sede a New York, Sara Qudah è la responsabile delle iniziative per la libertà di stampa in Medio Oriente. Di recente ha denunciato quanto succede nella Striscia sul sito Politico. «Non c’è bisogno di incarcerare i giornalisti se si può semplicemente farli morire di fame fino a ridurli al silenzio», ha scritto. Qudah riferisce anche che, nelle interviste rilasciate al Cpj, i giornalisti di Gaza hanno descritto l’impatto della fame sul loro lavoro e sulla loro salute.

I media stranieri tenuti fuori

L’altro fattore è l’assenza della stampa di altri Paesi. Il fatto che Israele neghi ai media internazionali indipendenti l’accesso a Gaza dall’inizio della guerra ha significato un calo verosimile della pressione dall’estero, un rallentamento del flusso di aiuti cruciali e un ritardo o una negazione della giustizia. Non si tratta solo di danni collaterali, è intenzionale.

Qudah ha osservato poi che «i giornalisti di Gaza operano in condizioni che nessuna testata giornalistica occidentale accetterebbe nemmeno per un giorno».

Il conteggio del Comitato, aggiornato al 16 giugno, comprendeva l’uccisione di almeno 186 giornalisti nel conflitto iniziato il 7 ottobre 2023. Mai così tanti da quando si è iniziato 30 anni fa a registrare le uccisioni di personale dell’informazione. Un centinaio sono quelli rimasti feriti, oltre ottanta gli arrestati. Su altri 130 casi di uccisioni, ferimenti o scomparse, il Cpj sta indagando con le difficoltà date dalle circostanze. Per il Sindacato dei giornalisti palestinesi, invece le vittime sono 225. La pettorina identificativa con la scritta «Press» in ogni caso non è mai stata un elemento di sicurezza.

Wael Al-Dahdouh, l’informazione come resistenza

Il 4 giugno scorso il giornalista gazese Wael Al-Dahdouh ha ricevuto un premio in occasione degli Amnesty Media Awards. Al-Dahdouh, capo della redazione di Al Jazeera nella Striscia, è diventato uno dei simboli dell’informazione dal territorio palestinese.

All’inizio della guerra sono stati uccisi in un attacco aereo sul campo profughi di Nuseirat, sua moglie, un figlio di 15 anni, una figlia di 7 anni, un nipotino di pochi mesi. Nel conto dei suoi lutti familiari ci sono altri dieci parenti morti. Venti sono stati feriti e la sua casa è stata in seguito distrutta. Ma Al-Dahdouh ha continuato a lavorare come giornalista. All’inizio del 2024 lui stesso è stato ferito in un attacco di droni israeliani che hanno ucciso il cameraman di Al Jazeera che operava con lui, Samer Abudaqa. Alcuni mesi dopo, il suo figlio maggiore Hamza, anche lui giornalista per Al Jazeera, è stato ucciso insieme al collega Mustafa Thurayya, mentre seguiva un attacco aereo israeliano a Rafah.

Nel discorso della cerimonia di premiazione che si è svolta a Londra, parlando in collegamento da Milano dove era ospite del consolato del Qatar, Al-Dahdouh ha detto che essere giornalista nella Striscia di Gaza vuol dire mettere a rischio la propria vita ogni giorno. Ma senza questo sacrificio non si può trasmettere le preoccupazioni delle persone al mondo intero. Al-Dahdouh ha insistito sul ruolo umanitario che assume chi svolge un lavoro come il suo, per questo non ha mai smesso. (f.p.)

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