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Il grido delle madri: «Fermatevi e trattiamo per gli ostaggi»

Manuela Borraccino
18 ottobre 2023
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Le attiviste ebree e arabe di Women Wage Peace: «Chiediamo al governo israeliano di iniziare trattative immediate per il rilascio degli ostaggi e di includere le donne nei negoziati con i palestinesi. Non è possibile che ci siano solo uomini a guidare il Paese fuori da questa crisi».


«Scioccate, ferite, in ansia, eppure continuiamo a chiedere un accordo di pace». Comincia così la dichiarazione del movimento di Women Wage Pace (che raduna 44mila attiviste israeliane, ebree ed arabe) redatta nei giorni scorsi, dopo il massacro di 1.300 israeliani da parte di Hamas nei kibbutz di frontiera con la Striscia di Gaza, avvenuto solo tre giorni dopo l’ultima marcia pacifista a Gerusalemme e sul Mar Morto. Una strage, quella del 7 ottobre, durante la quale sono state catturate, tra i 199 ostaggi, anche una delle fondatrici del movimento, la 74enne Vivian Silver, che da decenni è membro attivo di organizzazioni femministe miste israelo-palestinesi (nel kibbutz Be’eri) e Ditza Heiman, madre dell’attivista Neta Heisman (nel kibbutz Nir Oz).

Nel dolore per la mattanza perpetrata da Hamas e per le migliaia di vittime altrettanto innocenti provocate dalla rappresaglia israeliana nella Striscia di Gaza, «come madri ebree ed arabe con diverse opinioni e posizioni, piombate dentro questo film spaventoso e folle», si legge nel comunicato, «chiediamo al governo israeliano di iniziare immediatamente delle trattative per il rilascio degli ostaggi. Facciamo appello alla Croce Rossa e alla comunità internazionale di garantire la loro sicurezza e agire per la liberazione immediata. Chiediamo che Israele impedisca che prenda fuoco anche la Cisgiordania e non permetta agli estremisti di entrambe le fazioni di istigare la regione, come già avvenuto la scorsa settimana». «Questa guerra dimostra oggi più che mai che il concetto di gestire il conflitto è fallito. L’idea di posticipare all’infinito la risoluzione del conflitto si è dimostrata fondamentalmente sbagliata».

Le attiviste fanno riferimento anche alla Risoluzione Onu 1325 del 2000 Donne, pace e sicurezza sull’obbligo (finora disatteso nella maggior parte dei conflitti mondiali) di inserire negoziatrici donne nelle trattive di riconciliazione e in generale tra i decisori. «Siamo nel 2023 eppure non ci sono quasi donne nei circuiti dove si prendono le decisioni in Israele. Questa è una situazione intollerabile che deve cambiare. Chiediamo che il team negoziale per la liberazione degli ostaggi includa delle donne. Non è possibile che ci siano soltanto uomini a guidare il Paese durante questa crisi».

La dichiarazione passa in rassegna l’angoscia, lo sgomento, la preoccupazione, il senso di impotenza che le madri di entrambi i popoli stanno provando da 11 giorni di fronte al nuovo conflitto. «Dobbiamo unirci a tutte le donne del mondo per fermare questa follia. Le nostre parole possono suonare ingenue e irrealistiche, ma questa è la verità: ogni madre, ebrea e araba, mette al mondo i propri figli per vederli crescere e fiorire, non per seppellirli». Per questo le attiviste chiedono al governo israeliano «di considerare i propri passi e le proprie azioni in modo responsabile e morale e prevenire morti inutili di civili e di soldati e, allo stesso tempo, laddove possibile, di impedire danni agli innocenti a Gaza».

Chiedono altresì risposte a queste domande: «Un’invasione di terra, la distruzione di Gaza, costringere un milione di palestinesi a lasciare le proprie case… tutto questo porterà forse a un futuro di sicurezza? E che cosa accadrà il giorno dopo? Non è forse essenziale dare la priorità alla liberazione degli ostaggi? I nostri leader cosa rispondono?». Dopo tutti gli sforzi fatti per stimolare l’adesione al movimento anche di cittadine arabe israeliane, le firmatarie della dichiarazione chiosano: «Dobbiamo rafforzare la solidarietà e unità fra il pubblico ebraico e arabo in Israele e continuare ad agire contro il razzismo e l’odio. Il pubblico arabo, che ha convissuto per anni con il dissidio interno di essere cittadini di Israele e parte del popolo palestinese, ha marciato insieme a noi in questi difficili tempi di crisi per la salvezza dell’intera società in Israele».

Per leggere la dichiarazione integrale clicca qui

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