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Palestina membro dell’Onu? Un altro no degli Usa

Terrasanta.net
19 aprile 2024
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Palestina membro dell’Onu? Un altro no degli Usa
New York, 18 aprile 2024. Il rappresentante degli Stati Uniti nel Consiglio di Sicurezza pone nuovamente il veto all'ammissione della Palestina come membro a pieno titolo delle Nazioni Unite. (foto Onu/Manuel Elías)

Neppure stavolta, ci aveva già provato nel 2011, l'Autorità nazionale palestinese riesce a farsi ammettere nell'Onu, come Stato di Palestina e membro a pieno titolo. Oggi come allora a sbarrare il passo è solo il veto degli Stati Uniti.


(g.s.) – Nel corso di una seduta del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite svoltasi ieri, 18 aprile 2024, al Palazzo di Vetro di New York, gli Stati Uniti hanno opposto il loro veto alla possibilità di ammettere lo Stato di Palestina come membro a pieno titolo della massima organizzazione internazionale. Si ripete così il copione del precedente tentativo, messo in atto dall’Autorità nazionale palestinese nel 2011. In quell’occasione l’Assemblea generale, non potendo procedere all’ammissione senza l’assenso del Consiglio di Sicurezza, riconobbe allo Stato di Palestina la qualifica di Stato non membro osservatore permanente. Situazione che resta immutata, dopo il voto di ieri.

Per essere ammessi nelle Nazioni Unite è necessario l’assenso di nove membri del Consiglio di Sicurezza (inclusi, ovviamente, tutti e cinque i titolari del diritto di veto: Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti) e di due terzi dei membri presenti e votanti in Assemblea generale. Ieri in Consiglio di Sicurezza, dodici membri hanno votato a favore della Palestina e due si sono astenuti (Regno Unito e Svizzera). Determinante, l’unico no, quello degli Usa, che vale come veto. I vertici dell’Autorità Nazionale Palestinese avevano presentato nuovamente la richiesta di essere riconosciuti a pieno titolo come Stato membro dell’Onu sull’onda della guerra in corso nella Striscia di Gaza e del fatto che tutti hanno ripreso a parlare della soluzione «due Stati per due popoli» come via d’uscita al conflitto israelo-palestinese. Formula tanto ripetuta quanto nebulosa (e non priva di insidie) nei suoi contenuti. I dirigenti palestinesi speravano forse di forzare la mano agli Stati Uniti e di mettere diplomaticamente all’angolo lo Stato ebraico. Il no di Washington, espresso dall’ambasciatore Robert Wood, sta a dire che la Casa Bianca non vede presenti le condizioni per considerare l’Autorità palestinese – che non controlla la Striscia di Gaza – un vero e proprio Stato. Gli Usa non ammettono scorciatoie, né vogliono rompere con Israele: lo Stato di Palestina non potrà nascere davvero senza il suo assenso, forse mai come ora tanto difficile da ottenere.

Intanto, fuori dalle stanze del Palazzo di Vetro, aumentano i governi che sembrano disposti a riconoscere lo Stato di Palestina. L’Australia è tra questi. Lo ha fatto intendere il 9 aprile scorso la ministra degli Esteri Penny Wong. Anche il governo inglese ci sta pensando e quello spagnolo è già al lavoro in quella direzione, secondo quanto ha dichiarato il premier Pedro Sanchez, che cerca di coinvolgere altre nazioni europee in questo passo: la Norvegia sembra disponibile, così come Irlanda, Malta e Slovenia. I governi dell’Unione europea che riconoscono già la Palestina come Stato, sono Bulgaria, Cechia, Cipro, Polonia, Romania, Slovacchia e Ungheria, con deliberazioni precedenti al loro ingresso nell’Ue. Tra i Paesi già membri Ue una simile decisione è stata adottata solo dalla Svezia nel 2014.

In verde i Paesi del mondo che già riconoscono lo Stato di Palestina. (da: Wikipedia)

Nel mondo sono 140 i soggetti (Santa Sede inclusa) che riconoscono lo Stato di Palestina.

Intanto, il primo aprile a Ramallah si è insediato un nuovo governo dell’Autorità nazionale palestinese. Lo guida l’economista e politico settantenne Mohammad Mustafa, membro del Comitato esecutivo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) dal 2022 e responsabile del suo dipartimento economico. Il neo premier ha dapprima studiato ingegneria a Baghdad (Iraq) e quindi ha conseguito un dottorato in economia negli Stati Uniti. Ha poi lavorato in organizzazioni internazionali come la Banca mondiale e per imprese e società private e pubbliche di vari Paesi. Come funzionario negli apparati di governo palestinese si è sempre occupato di questioni economiche e di investimenti. Succede al premier Mohammad Shtayyeh, dimessosi il 26 febbraio scorso dopo cinque anni alla testa dell’esecutivo.

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