Nella devastazione che ha raso al suolo la Striscia di Gaza non sono state risparmiate le sue dodici università: 625mila studenti, e soprattutto studentesse, dovranno farne a meno. Tra sfide più grandi ci sarà ricostituire gli staff accademici.
Fosse comuni, cadaveri di donne e bambini con chiari segni di torture ed esecuzioni sommarie. E agli orrori fisici subiti da quasi 35mila vittime di sette mesi di guerra a Gaza (al 29 aprile erano almeno 14.500 minori e 9.500 donne) e ai 77.643 feriti (dei quali il 75 per cento sarebbero donne, secondo le stime dell’Onu), si aggiungono le ferite psichiche inflitte ai sopravvissuti, ribadiscono alcuni esperti, consulenti delle Nazioni Unite. Un altro comunicato delle agenzie Onu per i diritti umani parla espressamente di «scolasticidio» come si leggeva negli ultimi giorni sui cartelli delle proteste issati in diverse università italiane ed europee: «Il termine – scrivono gli esperti Onu – si riferisce alla sistematica cancellazione dell’istruzione attraverso gli arresti, la detenzione e le uccisioni di studenti e docenti, e la distruzione delle infrastrutture educative. Senza scuole sicure, le bambine e le ragazze corrono ancora più pericoli e sono a rischio di subire violenze sessuali. Sono ormai un milione i minori a Gaza che hanno bisogno di sostegno psicosociale e che soffriranno per tutta la vita gli effetti del trauma di questa guerra».
Al 18 aprile 2024 si parlava di 5.479 studenti, 261 insegnanti e almeno 95 accademici che risultavano esser stati uccisi. Aumenta ogni giorno il numero degli oltre 7.800 studenti e dei più di 750 insegnanti rimasti feriti. Si calcola che il 60 per cento degli edifici educativi, comprese 13 biblioteche pubbliche, sia stato distrutto o danneggiato e che 625mila studenti non abbiano più accesso all’istruzione. Sono almeno 195 i siti del patrimonio culturale di Gaza devastati o demoliti, oltre a 227 moschee, a tre chiese e all’Archivio centrale di Gaza, contenente fonti documentarie che abbracciano secoli di storia.
L’Università di Israa è stata la dodicesima e ultima istituzione accademica a venire demolita il 17 gennaio scorso. Anche qui, la scuola e l’università non sono (solo) edifici. L’intera vita culturale e intellettuale, linfa vitale per qualsiasi società, sono state distrutte dalle bombe israeliane. Al di là delle infrastrutture, ci vorranno anni per far rientrare docenti e ricercatori e ricostituire il corpo docente. E naturalmente gli studenti e le studentesse, che soprattutto nella Striscia di Gaza negli ultimi 15 anni avevano affollato le università anche solo per la mancanza di altre attività da svolgere, visto il blocco che Israele impone dal 2007.
La società palestinese ha notoriamente un alto tasso di istruzione. Diversi docenti universitari sono stati uccisi, altri sono stati arrestati. Al 18 febbraio risultavano almeno 94 gli accademici assassinati: fra loro figuravano il professor Fadel Abu Hein, docente di fama internazionale di Psicologia specializzato sui trattamenti del post-trauma sui bambini, ucciso da un cecchino; il rettore dell’Università islamica, il fisico Sufyan Tayeh, è morto con la sua famiglia quando la sua casa a Jabalya è stata bombardata; un altro missile guidato ha centrato l’abitazione dello scrittore, poeta e docente di scrittura creativa Refaat Alareer, sterminando con lui l’intera famiglia.
In un lungo editoriale sul quotidiano Haaretz la ricercatrice Anat Matar denunciava nei mesi scorsi gli effetti a lungo termine della devastazione e del senso di perdita, di non avere più nulla, neppure libri da leggere, ormai ovunque: «La storia ci insegna che la distruzione dell’alta istruzione a Gaza e le molestie agli studenti non sono “danni collaterali” ma fanno parte della politica israeliana di cancellare non solo l’infrastruttura psichica ma anche quella spirituale. Come accademici israeliani – è il suo appello – non possiamo tacere di fronte alla distruzione e ai danni duraturi inferti alle istituzioni educative: non possiamo tacere di fronte agli omicidi mirati e agli arresti di studenti e di nostri colleghi. È nostro dovere alzare la voce contro questi crimini ed esigere che i responsabili del governo se ne assumano la responsabilità nelle sedi penali, per salvare coloro che possono ancora essere salvati».