
Continuano, pesanti, i bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza. Con un obiettivo, fin qui implicito, ormai dichiarato esplicitamente dal premier di Israele: sbarazzarsi di Hamas e dei gazesi e prendere il controllo pieno del territorio.
Secondo le Nazioni Unite, oltre mezzo milione di persone – praticamente un individuo su quattro – rischia di morire di fame nella Striscia di Gaza, mentre l’intera popolazione continua a far fronte alla carestia. Fonti del ministero della Sanità di Gaza affermano che almeno 3.500 persone sono state uccise da quando Israele ha ripreso gli attacchi il 18 marzo scorso, dopo aver interrotto la tregua iniziata in gennaio per favorire la liberazione di un certo numero ostaggi (in cambio della liberazione di detenuti palestinesi). I morti dall’ottobre 2023 a oggi hanno superato il numero di 53 mila. E parliamo solo delle vittime dirette di azioni militari.
Negli scorsi giorni i bombardamenti sono avvenuti anche durante la distribuzione dei primi rifornimenti umanitari trasportati da una novantina di camion entrati a Gaza dalla serata di domenica 18 dopo un blocco totale imposto dal governo di Israele sin da marzo. Mentre le derrate alimentari che riescono a entrare sono solo una goccia nel mare per una popolazione affamata, l’esercito israeliano ha diramato oggi un avviso di evacuazione per 14 aree nel nord di Gaza, inclusi alcuni quartieri di Beit Lahia e Jabalia. Avvisi analoghi hanno interessato in precedenza l’area di Khan Yunis.
Ieri, 21 maggio, nel corso di una conferenza stampa organizzata dall’ufficio del primo ministro dopo cinque mesi lontano dalle domande dei giornalisti, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha reso pubblica una nuova condizione per la fine della guerra nella Striscia di Gaza. Oltre al totale disarmo e sconfitta politica di Hamas, si parla ora anche di dare piena attuazione al controverso piano del presidente americano Donald Trump, cioè il trasferimento della popolazione civile palestinese fuori dall’enclave (verso dove e in che modo non è ancora dato sapere).
Dopo quella che sembrava una boutade di Trump sulla «Riviera di Gaza» e il tour in Medio Oriente (che però non ha toccato Israele), sembrava che questa prospettiva avesse perso di peso, E invece Netanyahu, con un colpo di teatro, ha abbracciato pubblicamente il «brillante» e «rivoluzionario» piano trumpiano, ora presentato come parte integrante della strategia israeliana per garantire la sicurezza nazionale. «Non ci fermeremo finché Gaza non sarà disarmata, Hamas non sarà sconfitto e la popolazione non sarà più una minaccia», ha dichiarato il primo ministro d’Israele.
Parlando dal suo ufficio a Gerusalemme, il premier ha illustrato la nuova offensiva di terra a Gaza, denominata Operazione Carri di Gedeone. L’obiettivo finale, ha ribadito, è che l’intero territorio di Gaza venga posto sotto controllo israeliano.