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Al Palazzo di Vetro gli 80 anni dell’Onu con la Palestina in prima pagina

Giampiero Sandionigi
22 settembre 2025
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Al Palazzo di Vetro gli 80 anni dell’Onu con la Palestina in prima pagina
Una seduta dell'80.ma sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, iniziata il 9 settembre 2025. (UN Photo/Loey Felipe)

A New York entrano nel vivo quest’oggi, 22 settembre 2025, i lavori dell’ottantesima sessione dell’Assemblea generale Onu. Capi di Stato e di governo di tutto il mondo si avvicenderanno al podio. Quello della pace in Terra Santa sarà uno dei temi più caldi.


L’Organizzazione delle Nazioni Unite compie 80 anni e sembra una vecchia sterile, incapace di incidere sulla realtà, con il suo obsoleto e farraginoso armamentario.

Più o meno così la dipingono i fautori della realpolitik, propensi a leggere la realtà internazionale unicamente con l’ottica della politica di potenza, nella quale prevalgono i governi più armati, decisi o spregiudicati (tanto vale, perciò, farsene una ragione, se non proprio una filosofia).

L’Onu di problemi ne ha tanti e sono universalmente noti. Citiamo solo gli alti costi del personale delle sue agenzie che drenano buona parte delle risorse finanziarie anche nelle aree di intervento umanitario in Paesi svantaggiati o poveri. Ma, soprattutto, una certa debolezza intrinseca all’apparato del diritto internazionale, incapace di far valere decisioni vincolanti e di ricomporre le contese tra Stati (o popoli) prima che assumano i contorni dei conflitti armati.

A 80 anni un’Onu fiacca

Su quest’ultimo fronte la responsabilità è però più addebitabile agli Stati che rigettano il multilateralismo, non si vogliono conformare alle risoluzioni delle Nazioni Unite oppure le intralciano. In seno al Consiglio di Sicurezza lo fanno di frequente i cinque membri permanenti – Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Regno Unito – anacronisticamente titolari di un diritto di veto assoluto. Stortura mai mitigata in questi primi ottant’anni di vita della massima organizzazione internazionale (forse perché senza questa “clausola” le Nazioni Unite non sarebbero neppure nate, né continuerebbero a sussistere). Basti pensare, guardando ai giorni nostri, alla Russia che oppone il veto alle risoluzioni che la riguardano per la guerra in Ucraina, o agli Stati Uniti che, accada quel che accada, fanno comunque scudo a Israele.

La questione palestinese in primo piano

Intanto quest’oggi, 22 settembre 2025, con l’avvicendarsi al podio dell’Assemblea generale di capi di Stato e di governo di tutto il mondo, entrano nel vivo i lavori dell’ottantesima sessione, apertasi ufficialmente il 9 settembre.

Come sempre, ognuno tratterà le questioni che gli stanno più a cuore, ma tra i temi più rilevanti in agenda questa sera (ora italiana) c’è la ripresa e conclusione della Conferenza internazionale ad alto livello per la soluzione pacifica della questione palestinese e l’attuazione della soluzione dei due Stati, co-presieduta da Arabia Saudita e Francia dal 28 al 30 luglio scorso. I lavori vennero sospesi dopo l’adozione della cosiddetta Dichiarazione di New York, che è stata in seguito portata all’attenzione di tutti i membri dell’Onu. La Dichiarazione – piuttosto articolata – è il frutto anche del lavoro di otto gruppi di lavoro, uno dei quali, co-presieduto da Indonesia e Italia, sul tema Sicurezza per israeliani e palestinesi. È stata fatta propria dall’Assemblea generale con un voto del 12 settembre. In estrema sintesi vi si conferma la prospettiva di creare un vero e proprio Stato di Palestina – sulle radici di un’Autorità nazionale palestinese (Anp) da riformare radicalmente – ma che escluda ogni ruolo guida per Hamas (come la vedranno gli elettori palestinesi?). Contrari, ovviamente, Stati Uniti e Israele (con altri otto Paesi: Argentina, Micronesia, Nauru, Palau, Papua Nuova Guinea, Paraguay, Ungheria e Tonga). Israele e Usa, d’altronde, hanno disertato la Conferenza di luglio e ne contestano la ripresa di questa sera.

Trump costringe Abu Mazen alla videoconferenza

Calcando la mano, Donald Trump ha negato al presidente dell’Anp il visto di ingresso a New York perché la dirigenza palestinese, a suo modo di vedere, sarebbe scarsamente collaborativa e minerebbe le prospettive di pace. In questi giorni la voce dell’anziano Mahmoud Abbas (Abu Mazen) risuonerà comunque all’Onu perché l’Assemblea generale lo ha autorizzato a intervenire da remoto in videocollegamento. Solo cinque i voti contrari alla decisione: Israele, Nauru, Palau, Paraguay e, ovviamente, gli Usa di Trump.

Alla vigilia dei lavori, ieri 21 settembre i governi di Regno Unito, Canada, Australia e Portogallo hanno ufficializzato la decisione di riconoscere la Palestina come Stato. Altre dichiarazioni in tal senso sono attese oggi, o nei prossimi giorni, proprio dagli interventi che si susseguiranno al Palazzo di Vetro. Mentre i dirigenti politici palestinesi plaudono, quelli israeliani reagiscono con stizza.

Altri sì allo Stato di Palestina, che Israele non vuole

Diciamoci la verità. Coloro che si stracciano le vesti perché considerano il riconoscimento dello Stato di Palestina adesso un premio agli stragisti di Hamas pensavano che non fosse il caso neppure il 6 ottobre 2023 e in tutte le date precedenti («Non ci sarà mai uno Stato di Palestina», il primo ministro Benjamin Netanyahu e i suoi elettori lo dicono da decenni…).

Non è semmai tardiva la decisione di spingere verso la soluzione dei due Stati, ora che la situazione sul terreno la rende complicatissima da realizzare, data la sempre più pervasiva presenza di coloni ebrei in Cisgiordania (o Giudea/Samaria)?

E qual è l’alternativa ai due Stati, se non il perpetuare in Terra Santa un regime di disuguaglianza istituzionalizzata, incompatibile con la democrazia, o – peggio – il giungere all’espulsione forzata di uno dei due popoli?

Oggi come oggi, con il fiume di sangue che scorre da due anni, uno Stato binazionale che riconosca parità di diritti e doveri a tutti i suoi cittadini sembra tra tutte le opzioni la più inverosimile.

Aggiornamento – Nel corso dell’epilogo della Conferenza d’alto livello sulla questione palestinese apertasi nel pomeriggio del 22 settembre all’Assemblea generale dell’Onu – che l’ha voluta – anche la Francia ha annunciato che ora riconosce lo Stato di Palestina (depurato da Hamas). In tal senso si sono pronunciati anche Andorra e Belgio (il cui riconoscimento pieno è subordinato alla liberazione degli ostaggi rapiti il 7 ottobre 2023, all’emarginazione di Hamas, a riforme nell’Anp ecc.), Principato di Monaco, Malta, Lussemburgo e la Repubblica di San Marino.

Ultimo aggiornamento: 23/09/2025 11:03

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