Rav Avi Dabush, sopravvissuto al 7 ottobre: «Voglio credere in un futuro bello»
Cinquantenne e impegnato su vari versanti dell'attivismo schierato per una convivenza possibile tra israeliani e palestinesi, il rabbino Dabush è uno dei sopravvissuti agli eccidi del 7 ottobre 2023. Di recente è tornato a stabilirsi nel kibbutz di Nirim, ai margini della Striscia di Gaza.
Direttore dell’ong Rabbini per i diritti umani, Avi Dabush è tornato al kibbutz Nirim, dove abitava, due anni dopo il 7 ottobre. Rabbino e attivista in vari ambiti, racconta ciò che ha vissuto.
• Due anni dopo gli attacchi del 7 ottobre, lei è tornato a vivere a Nirim. Con quali sentimenti?
Non è facile. Anzitutto perché la regione è diventata un enorme memoriale. Per noi residenti è difficile, perché le nostre comunità devono restare luoghi di vita. E poi perché la guerra è molto vicina: le case tremano per i bombardamenti su Gaza. Il confine è a soli tre chilometri. A volte i rumori della guerra mi svegliano, e ho la sensazione di rivivere il 7 ottobre.
Ci siamo reinsediati qui a fine agosto, dopo aver vissuto sei mesi a Eilat e poi un anno e mezzo a Beer Sheva. Era necessario staccare da questo luogo, ma oggi è necessario tornarci: non voglio dimenticare che c’è la guerra. È una questione di valori. Non possiamo ignorare ciò che è accaduto il 7 ottobre 2023, ma non possiamo neppure ignorare ciò che accade a Gaza. È una malattia dell’anima ignorare la realtà per concentrarsi solo su sé stessi: genera indifferenza, se non addirittura violenza verso gli altri.
• Questi due anni di guerra hanno cambiato il suo rapporto con la fede e con la religione in generale?
Viviamo tempi confusi. Sono cresciuto in un ambiente sionista religioso, ad Ashkelon, dove la fede era molto legata alla pratica religiosa. Oggi mi sono allontanato da quella pratica istituzionale per vivere qualcosa di più spirituale, più aperto, più meditativo, più vicino alla vita stessa.
In questi ultimi due anni abbiamo tutti provato questa impotenza, la sensazione di non fare abbastanza. Sono convinto che una delle cose principali che possiamo fare è esserci. Essere presenti, senza per forza cercare di capire. Essere presenti per guardare, tanto dentro di sé quanto verso l’esterno. Essere presenti accanto a chi ha bisogno — che si tratti delle famiglie degli ostaggi o dei palestinesi in Cisgiordania.
• Lei conclude la maggior parte dei suoi post su Facebook con l’espressione «Io credo». In cosa crede?
Ho cominciato a scriverlo il 7 ottobre. Un celebre cantante israeliano ha scritto queste parole: «L’essere umano grida ciò che gli manca: gli manca la fiducia, e grida “fiducia”». Ho scritto «io credo» perché non ci credevo più. Oggi voglio credere che si possa fare la differenza. Voglio credere che, se abbiamo il potere di distruggere qualcosa, abbiamo anche il potere di ripararlo. Voglio credere in un futuro bello, in cui avremo trovato il modo di vivere insieme, israeliani e palestinesi, in sicurezza e in armonia, tra il fiume e il mare. È una questione di volontà politica.
• In quanto rabbino e attivista per i diritti umani, pensa di avere una missione?
Sono stato ordinato all’interno del Rabbinato israeliano, in un programma dell’Istituto Shalom Hartman, piuttosto liberale, che considera i rabbini come leader. Si può essere «rabbini pubblici», senza una comunità fissa di riferimento. È così che mi definisco: utilizzo la mia voce, la mia storia, la mia posizione di direttore di Rabbini per i diritti umani e il mio impegno nel partito I Democratici (l’ex partito laburista) per difendere e agire a favore di un progetto di società alternativo.
Oltre alla guerra fisica, Israele attraversa oggi una guerra di valori. La forza, promossa dall’attuale governo israeliano, non è l’unico linguaggio dell’ebraismo. Anche la giustizia e i diritti umani ne fanno parte. Dobbiamo assumerci la responsabilità di difendere questi valori e smettere di averne paura.
Per questo è importante per me parlare alle giovani generazioni. All’inizio del 2023, circa il 73 per cento dei giovani tra i 18 e i 24 anni si identificava con la destra. Ho incontrato di recente gli studenti di una scuola molto liberale: è stato difficile per loro ascoltare ciò che avevo da dire. Mi rispondevano: «Ma come puoi parlare di pace? Come puoi fidarti dei palestinesi?». Dobbiamo parlare di più con loro.
• Come è passato dal mondo sionista religioso a quello, diametralmente opposto, dell’impegno per la pace?
La mia famiglia è mizrahi; ha le sue origini in Libia e Siria. È molto a destra e ortodossa, ma anche rispettosa dell’altro, anche se i miei genitori non hanno mai chiamato questo «diritti umani». Vivevamo ad Ashkelon, e quindi rappresentavamo ciò che oggi si definisce «periferia», marginale sia geograficamente che sotto il profilo socio‑economico.
Nel 1993 sono andato a studiare ebraismo a Gerusalemme. Ho partecipato alle manifestazioni contro gli Accordi di Oslo. Fu una fase molto violenta. I miei compagni si ritenevano più ebrei di chi sosteneva gli accordi e, soprattutto, non proponevano alcuna alternativa. Il loro unico argomento era che il popolo palestinese non esisteva. Non mi sono riconosciuto in quel modo di pensare. Più tardi sono entrato nella vita pubblica e ho aderito al partito Meretz.
• Oggi lei milita nel partito I Democratici. Si candiderà alle prossime elezioni?
Concepisco l’impegno politico come un’altra forma di azione, un modo per rammendare. All’interno del partito mi occupo delle periferie: del compito di connettere queste aree, tradizionalmente vicine al partito Likud e ferventi sostenitrici di Benjamin Netanyahu, con la sinistra.
Non abbiamo scelta: dobbiamo vincere le prossime elezioni (previste per l’autunno 2026). La società civile e le manifestazioni, per quanto cruciali, non bastano più. Bisogna tradurre questa protesta in un movimento politico. Nel mio piccolo, penso che entrare in politica sia la cosa giusta da fare, anche se è più semplice restare nella società civile. Il mio sogno sarebbe diventare ministro delle Finanze, affinché finalmente il denaro di questo Paese venga investito nelle giuste priorità.


























