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Un milione di libanesi sfollati, la testimonianza del vescovo latino di Beirut

Giampiero Sandionigi
2 ottobre 2024
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Un milione di libanesi sfollati, la testimonianza del vescovo latino di Beirut
Lungo la direttrice dal sud del Libano alla capitale Beirut una superstrada intasata dalle auto degli sfollati sospinti a nord dall'offensiva israeliana negli ultimi giorni del settembre 2024 (foto EPA/Ansa)

Monsignor César Essayan, dal 2016 vicario apostolico di Beirut per i cattolici di rito latino sparsi in tutto il Libano, ci racconta gli effetti drammatici dell'offensiva israeliana sul Paese dei cedri. E guarda avanti, oltre le urgenze immediate.


Raggiungiamo per telefono mons. César Essayan nel pomeriggio del primo ottobre 2024, poche ore prima della nuova pioggia di missili iraniani su Israele, che segna un ulteriore peggioramento della situazione bellica in Medio Oriente.

Il vescovo, cittadino libanese di ascendenza armena, dal 2016 è responsabile del vicariato apostolico di Beirut per i cattolici di rito latino sparsi in tutto il Paese dei cedri. Gli chiediamo una testimonianza su quello che sta accadendo ai suoi connazionali sottoposti all’offensiva israeliana in atto da giorni.

«Il pericolo viene da tutte le parti. Questa è la tragedia che stiamo vivendo»

«È molto difficile descrivere ciò che sta accadendo perché la situazione cambia di ora in ora – dice il vescovo –. Posso riferire alcune testimonianze che ho raccolto e che possono aiutare a capire cosa sta accadendo, a rendere un’immagine più vera della situazione. Poco fa ho ricevuto il parroco di Tiro, fra Toufiq Bou Merhi, che nel convento aveva accolto circa 150 sfollati. Mi ha raccontato di un uomo sciita che veniva al convento ad assicurare un po’ di cibo, farina, pane. Dopo tanti giorni che non riusciva a stare tranquillo a casa è rientrato in famiglia per pranzare con i suoi. Mancava un ingrediente per il pranzo e ha mandato il più piccolo dei figli ad acquistarlo. Poco dopo un missile è caduto su casa sua uccidendo tutti quanti, tranne il bambino che era andato a fare la spesa… Poco fa abbiamo sentito suor Maya, del villaggio di Ain Ebel. Hanno ricevuto un avvertimento da parte israeliana che intimava di lasciare il villaggio, perché si era in procinto di attaccare o distruggere vari obiettivi nel centro urbano. Hanno dovuto sfollare senza sapere bene dove andare, perché molte strade sono ormai danneggiate dai bombardamenti. Così hanno ripiegato su un villaggio non distante che potrebbe sembrare più sicuro, ma ora sono intrappolati in una zona che è comunque molto vicina alla frontiera con Israele e lì si ritrovano veramente abbandonati da tutti. Non hanno abbastanza cibo e non sappiamo come far pervenire dei viveri. Siamo in contatto con l’esercito libanese e con la missione Unifil, ma finora abbiamo ottenuto risposte molto vaghe. Il pericolo viene da tutte le parti. Questa è la tragedia che stiamo vivendo».

Bishop César Essayan

Monsignor César Essayan (62 anni), vicario apostolico di Beirut per i cattolici di rito latino

C’è anche chi cerca scampo oltre frontiera, dice mons. Essayan. «Più di 120mila persone hanno lasciato il Libano. Molti profughi siriani sono rientrati in Siria. Ma tra chi espatria ci sono anche libanesi. Taluni raggiungono in pullman la Giordania o l’Iraq. Altri puntano semplicemente al nord del Paese».

Tornando agli sfollati interni, il vescovo mette in evidenza un problema specifico dei lavoratori stranieri immigrati, molti dei quali sono cattolici: «Tanti di loro negli ultimi anni non hanno potuto rinnovare il permesso di soggiorno. Così ora si ritrovano in grande difficoltà quando arrivano nei centri di raccolta degli sfollati e devono esibire i documenti. Le carte non sono in regola e così parecchi preferiscono restarsene fuori. Noi cerchiamo di raggiungere queste persone per aiutarle a stare un po’ meglio e trovare almeno un tetto sotto cui dormire. La tragedia è generalizzata. C’è paura, incertezza per il domani».

«Noi vogliamo continuare a vivere e riaprire il prima possibile le nostre scuole. Rispondere non solo alle urgenze, ma anche ridare un po’ di normalità ai nostri bambini e ai nostri giovani»

Giorni fa il ministero dell’Istruzione libanese ha disposto la sospensione delle lezioni nelle scuole (private) che avevano già iniziato l’anno scolastico, per poterle adibire a centri di raccolta per gli sfollati. Il vescovo non condivide del tutto questa decisione. «Le scuole – dice – non sono i luoghi più adatti per accogliere. Il ministro avrebbe dovuto, secondo me, mettere mano agli alberghi. Comunque sia, molte scuole ora vengono utilizzate per le persone senza tetto. Anche tante delle nostre scuole e centri cattolici. Molte congregazioni hanno offerto le loro strutture e i conventi. Posso dare qualche esempio: le suore Figlie della Carità, tra ospedali e conventi, hanno cinque centri dove hanno accolto più di 500 famiglie; le suore dei Saints Coeurs hanno anch’esse intorno alle 500 famiglie; i gesuiti una settantina di migranti; i salesiani 65 famiglie; le suore domenicane hanno messo a disposizione i loro spazi per un centro per la Croce Rossa; le carmelitane di San Giuseppe lo stesso; le suore francescane della Croce hanno accolto molte famiglie nei loro conventi. Siamo dunque aperti all’accoglienza ma allo stesso tempo vogliamo dare la possibilità ai nostri allievi di proseguire gli studi. Noi vogliamo continuare a vivere e riaprire il prima possibile le nostre scuole. Rispondere non solo alle urgenze, ma anche ridare un po’ di normalità ai nostri bambini e ai nostri giovani. Ricordo che durante la guerra civile libanese, tra il 1975 e il 1990, si andava a scuola ugualmente, pur con i profughi ospitati nelle scuole. Anzi venivano anche loro a lezione».

«Temiamo che questa guerra assurda, che non conosce confini né moralità, possa generare domani delle generazioni che non sapranno far altro che vendicarsi»

Lo sguardo di mons. César Essayan va oltre l’attualità: «La vita deve andare avanti. Dobbiamo testimoniare che siamo più forti della guerra e saper dare un po’ di pace alla nostra gente. I giovani non possono stare davanti alla televisione dalla mattina alla sera ad aspettare quel missile, quella bomba, quell’invasione. Se ciò accadesse non è a rischio solo il presente. Il rischio è per le future generazioni, che non hanno bisogno di crescere nella paura e nella guerra, alimentando in sé stesse un sentimento di odio verso chiunque, amico o nemico che sia. Il nostro timore non è solo per l’oggi, ma anche per il domani. Temiamo che questa guerra assurda che non conosce confini né moralità – come dice papa Francesco, che l’ha definita una guerra immorale – possa generare domani delle generazioni che non sapranno far altro che vendicarsi. La violenza genera violenza, lo sappiamo, e la guerra assurda che stiamo vivendo potrebbe generare gente talmente ferita che per guarire avrà bisogno di tanto tempo. Non so fino a che punto il mondo saprà risanare queste ferite».

Il precipitare della situazione in Libano in queste ultime giornate e settimane di guerra potrà dare uno scossone alla classe politica e dirigente del Paese? Monsignor Essayan è netto: «La classe politica libanese se voleva svegliarsi avrebbe dovuto svegliarsi molto tempo fa. Lasciamo perdere. Anche oggi dicono: se ci sarà un cessate il fuoco andremo ad eleggere il presidente della repubblica [la situazione è in stallo da due anni – ndr]. Ma proprio perché non c’è un cessate il fuoco bisogna eleggere il presidente! Questa classe politica non serve proprio a niente. Il problema è che nessuno vuole mettere il dito nella piaga. Tutti in questi ultimi anni abbiamo elencato le cose che non vanno, ma non abbiamo voluto nominare le vere cause e dire che il parlamento libanese non ha fatto quel che doveva fare e che le persone che abbiamo eletto ci hanno portato nell’inferno invece di assumere le loro responsabilità».


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