«Attualmente mi trovo nella zona centrale della Striscia di Gaza, vivo in una tenda dopo che la mia casa, nella parte nord del campo profughi di Al-Nuseirat, è stata completamente distrutta. Ho chiesto ad alcuni artisti che cosa ne è stato della sede del Conservatorio a Gaza City, degli strumenti, dei libri e degli archivi. Mi hanno risposto che non è rimasto nulla. Una delle cose belle di Gaza era proprio il Conservatorio di musica, l’unica istituzione del genere nella Striscia. La sua perdita è un duro colpo per noi lavoratori del settore artistico. L’entità della distruzione qui è indescrivibile».
Jaber Thabet, trentasei anni, è appassionato di musica e suona l’oud (o ʿūd, uno strumento a corde parente del liuto e tipico del Medio Oriente). Coordina i progetti gestiti dal Conservatorio nazionale di musica Edward Said (Esncm) per i bambini sfollati.
Istituito ufficialmente a Ramallah nel 1993 – inizialmente come parte dell’Università di Birzeit – il Conservatorio negli anni ha aperto nuove sedi in altre città: Gerusalemme, Betlemme, Nablus. Dal 2012 si è aggiunta Gaza. L’intitolazione a Edward Said (1935 – 2003) – omaggio al celebre intellettuale palestinese, già membro onorario del Consiglio d’amministrazione dell’istituto – è arrivata nel settembre del 2004.
Abbiamo raggiunto Jaber al telefono per chiedergli di raccontarci quali attività stia svolgendo insieme agli altri collaboratori e, più in generale, quale sia, nella loro esperienza, il valore della musica in questo tempo di guerra.
Suonare tra tende e rifugi
Da qualche mese il Conservatorio ha avviato alcuni programmi in tre centri della Striscia: nel nord, a Jabalia e dintorni; nel centro, a Nuseirat e zone limitrofe; nel sud, nella zona di Rafah.
Jaber e altri artisti stanno conducendo attività musicali con i bambini nelle tende degli sfollati e nei rifugi dell’Unrwa, l’agenzia Onu che assiste i rifigiati palestinesi. Tengono lezioni sui diversi ritmi e sessioni di musica che comprendono gruppi di canto corale, lezioni di oud, violino, percussioni, chitarra, ney (un flauto diffuso in diversi Paesi mediorientali). Organizzano anche lezioni individuali e piccoli, affollatissimi spettacoli, cui partecipano i genitori e le famiglie.
«In queste sessioni lavoriamo in modo diretto e organizzato con centosessanta bambini alla volta», spiega Jaber. «Inoltre, collaboriamo con un’altra équipe che insegna musica e che fa visita ai piccoli nei rifugi. Il numero di bimbi in ogni visita non è mai inferiore a cento».
Gli domandiamo come riescano a reperire gli strumenti. «Utilizziamo gli strumenti che abbiamo portato con noi durante gli spostamenti. A volte invece li prendiamo in prestito da volontari che sono riusciti a conservarli nelle loro case», ci risponde.
Ore preziose di ascolto e condivisione
La musica, aggiunge Jaber, ha un’importanza enorme per la popolazione in questo momento. Sia per i bambini che per gli adulti. «È l’unico sollievo nel corso delle poche ore in cui lavoriamo», continua. «Sentiamo la gioia che porta ai più piccoli, alle madri e ai padri. Le famiglie ci chiedono che le attività continuino ogni giorno senza interruzioni. Inoltre, i momenti in cui l’équipe del Conservatorio lavora sono diventati anche un punto di ritrovo per i musicisti, per esprimere ciò che sentono dentro, elaborare insieme i traumi che stanno attraversando».
Chiediamo al nostro interlocutore di menzionare un episodio o una storia significativa. «Senza dubbio una cosa bella è la collaborazione di molti artisti affermati, spesso di una certa età. Uno di questi è Mohammed Al-Ghaf, suonatore di oud, nato nel 1937. Si offre regolarmente come volontario per le nostre attività: partecipa a tutte le sessioni di musica con noi e suona per i bambini con grande amore».
Un supporto tramite attività artistiche
La musica non è l’unico mezzo utilizzato dall’Esncm per offrire ai bambini di Gaza e alle loro famiglie un’opportunità per “liberarsi” dal dramma che stanno vivendo.
Lo spiega, dalla sede di Ramallah, la direttrice Sima Khoury: «La guerra in corso è stata devastante per i bambini, che hanno trascorso l’intero anno senza scuole né accesso ad attività ricreative. Il programma che stiamo conducendo comprende attività musicali ma anche artistiche, come il teatro, la pittura e il disegno, la creazione di piccoli manufatti, la danza dabkeh (tipica della tradizione palestinese – ndr). Lo scopo è fornire alle comunità di bambini e ragazzi sia competenze artistiche, di comunicazione e sociali, sia momenti di puro intrattenimento e svago. Infine, cerchiamo poi di distribuire il più possibile acqua potabile e, data la mancanza di cibo, anche cose come frutta, verdura, succhi di frutta, cioccolatini…».
«È rimasto solo un pianoforte a coda»
A sostenere dall’Italia i progetti per i giovani del Conservatorio c’è, tra gli altri, l’associazione Cultura è libertà. Una campagna per la Palestina. Abbiamo parlato al telefono con la presidente, Alessandra Mecozzi.
Ricorda di essersi recata, negli anni, al Conservatorio di Gaza City in diverse occasioni: «Quando l’ho visitato per la prima volta, intorno al 2016, era veramente un luogo appassionante. Ho visto l’amore con cui era tenuto e con il quale gli insegnanti si occupavano dell’educazione musicale delle bambine e dei bambini. Ora l’unico strumento rimasto dopo bombardamenti e ripetute incursioni è un grande pianoforte a coda. Per il resto, tutti gli strumenti sono andati persi o rubati, come è successo in tanti altri luoghi al patrimonio culturale di Gaza».
Un patrimonio da ricostruire
Ora l’Associazione, che negli anni ha promosso numerose borse di studio per famiglie povere di Gaza desiderose di far studiare musica ai propri figli, sta portando avanti in particolare un progetto finanziato dalla Regione Puglia. Mira a supportare – anche attraverso una parziale ristrutturazione – la sede dell’Esncm di Ramallah, in modo che diventi anche un centro di raccolta di strumenti musicali e ne possa acquistare di nuovi. L’obiettivo è dotare di nuovo – quando sarà possibile – gli studenti di Gaza di un patrimonio di strumenti per poter riprendere in pieno l’attività.
«In questo tempo di distruzione e dolore ci sono insegnanti che non si arrendono e fanno lezione sotto le tende», conclude Alessandra Mecozzi. «La creatività e determinazione che stiamo vedendo nel voler far vivere questa realtà, l’istituzione musicale senza dubbio più importante in Palestina, ci spingono a continuare a sostenerla in ogni modo».