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Moira Shlomot: «Restiamo umani! Un bambino è un bambino»

Manuela Borraccino
4 luglio 2025
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Moira Shlomot: «Restiamo umani! Un bambino è un bambino»
Moira Shlomot nel corso di una manifestazione.

L'avvocata 56enne è stata portavoce di Peace Now e oggi in Israele dirige un’associazione di genitori contro la carcerazione dei minori palestinesi. Dice: «Continuiamo a lottare per tutti i minori, palestinesi e israeliani, costretti a subire questa guerra».


«È difficile anche per me dare una spiegazione su che cosa è avvenuto alla mia gente, su cosa siamo diventati noi israeliani. Quel che è certo è che a Gaza abbiamo toccato il fondo dell’abisso e dobbiamo iniziare la risalita: prima o poi bisognerà sedersi intorno a un tavolo e trovare un accordo senza fantasie assurde sul futuro di Gaza e anche di Israele», dice a Terrasanta.net Moira Shlomot. Avvocata 56enne, oggi è presidente dell’associazione Parents against Child Detention, ovvero Genitori contro la detenzione dei bambini, dopo esser stata la portavoce dell’associazione Peace Now, negli anni Novanta una delle maggiori organizzazioni pacifiste israeliane. L’organizzazione fondata nel 2018 dall’amica e collega Nirith Ben Horin insieme ad altre famiglie israeliane punta a far crescere nel pubblico ebraico israeliano la consapevolezza del fenomeno della carcerazione dei minori palestinesi, dell’impatto dell’occupazione militare sulla loro salute fisica e mentale e ad esercitare pressione sulla classe politica per cambiare l’attuale legislazione. «Abbiamo scelto di sottolineare fin dal nome la responsabilità genitoriale nei confronti dei minori – spiega Moira Shlomot – perché partiamo dal presupposto che quando diventi padre o madre hai dei doveri non solo verso i tuoi figli, ma verso tutti i bambini. A maggior ragione qui in Israele, con l’occupazione che imponiamo ai palestinesi: noi adulti israeliani dobbiamo sentirci responsabili della vita dei loro bambini, della loro incolumità, dei loro diritti».

Immersi in un clima di guerra

Nata nel kibbutz di Bar’am nel nord di Israele, a 300 metri dal confine con il Libano, Moira Shlomot ha prestato servizio nell’esercito ed è stata attiva nel mondo del volontariato fin dal trasferimento con il marito, a metà degli anni Novanta, a Tel Aviv. Qui, nel giugno appena trascorso, ha subito le conseguenze della decisione di Israele di attaccare l’Iran. «Sono state due settimane terrificanti – dice – perché già da due anni siamo immersi tutti in un’atmosfera di morte per quello che stiamo facendo a così tanti civili innocenti a Gaza. In quei 12 giorni quel minimo di routine alla quale ci siamo abituati è stata nuovamente sconvolta dagli allarmi continui di giorno e di notte. Quando gli attacchi sono finiti, ci sono voluti diversi giorni per riprendere a dormire, a lavorare, a uscire».

Chi, come lei, da trent’anni milita nel fronte pacifista guarda con disincanto ai sondaggi secondo i quali la maggior parte del pubblico israeliano ha sostenuto il premier Netanyahu nell’attacco all’Iran. «È difficile anche per me dare una spiegazione su che cosa sia avvenuto alla società israeliana, come sia stato possibile che gli israeliani abbiano perso l’umanità, il senso morale, i confini di ciò che è eticamente legittimo. Non so se la guerra finirà tra una settimana come proclamato da Trump: quel che è certo è che non finirà l’attacco di questo governo di destra alla democrazia, alle organizzazioni per i diritti umani, allo Stato di diritto. Oltre al futuro di Gaza, bisognerà discutere anche del futuro di Israele».

Moira ha lavorato per diversi anni per un Consultorio per i diritti delle donne per poi intraprendere, alla soglia dei 40 anni, gli studi di Giurisprudenza. Entrata nel 2015 nello studio legale di Michael Sfard, ha cominciato con lui e con sua moglie ad interessarsi alla condizione dei minori palestinesi nelle carceri israeliane. «Il numero dei minori detenuti in Israele è altissimo – rimarca Shlomot – e dopo il 7 ottobre 2023 ha superato la quota dei mille all’anno. In Israele l’età della responsabilità penale è di 12 anni e c’è un’amplissima differenza tra la condizione dei minori ebrei israeliani, che per qualsiasi reato finiscono in prigione e godono di una serie di tutele, e il trattamento che viene invece riservato ai minori palestinesi. Nella maggior parte dei casi, la polizia o i soldati dell’esercito entrano a volto coperto nelle case di notte o all’alba, prendono i bambini dai letti seminando il terrore nella famiglia e tra gli altri bambini presenti. Talvolta vengono persino prelevati da scuola. Di solito l’accusa è di aver gettato pietre o di essersi organizzati in gruppo per farlo. Il più delle volte non viene detto ai genitori dove verranno portati. Non viene loro permesso di essere assistiti da un avvocato o che siano presenti i genitori durante l’interrogatorio. Spesso vengono costretti a firmare confessioni in ebraico, una lingua che molti di loro non comprendono, o subiscono minacce che venga fatto del male a loro o ai loro famigliari».

Violati i diritti dei minori

Queste procedure, rimarca Shlomot, violano numerosi trattati internazionali sui minori (il più importante dei quali è la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo approvata dall’Onu nel 1989) e hanno effetti traumatizzanti sulle comunità. «Sia a Gerusalemme est che nei Territori occupati – osserva – non vengono applicate le leggi a tutela dei minorenni. Quando l’esercito opera in Cisgiordania agisce contro il diritto internazionale: i minori arrestati sono sottoposti alle leggi marziali in vigore nei Territori occupati e non alle leggi ordinarie dello Stato. Spesso sono costretti sotto minacce a fare i nomi di altri responsabili di ciò di cui vengono accusati e, in comunità dove tutti si conoscono, le denunce devastano i rapporti umani rendendo pubblici i nomi di coloro che vengono etichettati come collaborazionisti e producendo conflitti insanabili tra famiglie».

È significativo che la scelta dell’associazione di non esercitare l’attività forense come difensori dei minori sia stata concordata con omologhi palestinesi che hanno indicato loro espressamente quello che la società civile israeliana può fare per porre fine a questi abusi. «Quando ci siamo chiesti se assumere la difesa nei procedimenti penali di questi adolescenti – racconta Shlomot – sono stati i nostri soci e colleghi palestinesi a spiegarci perché non farlo e di dedicarci invece a cambiare le politiche e le leggi. «I minori arrestati sono troppi – ci hanno detto – perché abbiate la forza di incidere sui processi: ci sono già avvocati arabi israeliani che li difendono. Quello che solo voi potete fare è cercare di cambiare dall’interno di Israele questo sistema ingiusto, smantellare le leggi marziali e i Tribunali militari in vigore nei Territori occupati». È quello che facciamo: attraverso ricerche e consulenze cerchiamo di fare pressione per modificare le politiche governative sui procedimenti penali verso i minori palestinesi. Soprattutto cerchiamo di sensibilizzare il pubblico israeliano su questa realtà ignorata, per creare una massa critica che arrivi a chiedere la modifica delle procedure e, in generale, la fine dell’occupazione».

Dal 7 ottobre 2023 tutto è più difficile

Dopo l’attacco terroristico di Hamas il lavoro dell’associazione è diventato ancora più impopolare e segno di contraddizione in un Paese traumatizzato dagli orrori del 7 ottobre 2023. Le associazioni per i diritti umani denunciano un aumento vertiginoso degli arresti arbitrari e del ricorso alla detenzione preventiva, ovvero senza capi d’accusa: si calcola che in questi 21 mesi siano finiti in carcere più di 16.400 palestinesi, fra i quali 510 donne e circa 1.300 minori. Molti altri, scomparsi da Gaza e dei quali non si sa più nulla, non rientrano nelle stime a causa di quelle che anche la Croce rossa internazionale definisce «sparizioni forzate». «Dopo il 7 ottobre e con la guerra a Gaza, con tanti bambini israeliani uccisi o fatti ostaggio – rimarca Moira – ci siamo resi conto che dovevamo ampliare il nostro raggio d’azione a tutela di tutti i bambini, israeliani e palestinesi, costretti a vivere in questo contesto di guerra con tutto ciò che essa comporta sulla loro salute fisica e mentale. Nei mesi scorsi abbiamo promosso a Tel Aviv una manifestazione con 70 artisti, fra i quali numerosi illustratori come quelli che hanno collaborato con il nostro sito, per gettare luce sull’impatto della guerra sull’infanzia. Cerchiamo di puntare sul messaggio semplice e potente che un bambino è un bambino, ovunque si trovi: in Israele, a Gaza, in Cisgiordania. Anche se veniamo ricoperti di insulti sui nostri profili social, organizziamo delle performance durante le manifestazioni del sabato sera con delle ciotole vuote e con le foto dei bambini palestinesi per sensibilizzare il pubblico sulle politiche del governo che affamano gli abitanti di Gaza».

Dal 2018 Moira è presidente del Comitato per i diritti umani della municipalità di Tel Aviv. Racconta con orgoglio di essere madre di una ragazza di 27 anni che è un’obiettrice di coscienza (refusnik): «Mia figlia ha passato più di quattro mesi in carcere per essersi rifiutata di servire nell’esercito, ed oggi è anche un’attivista di Combatants for Peace. Non so se suo fratello, che oggi ha 15 anni, seguirà le sue orme, ma il suo esempio mi dà tanta speranza».

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