Il crollo del regime di Bashar al-Assad in Siria e la conseguente disintegrazione dell’esercito siriano e dei servizi di intelligence – da sempre la spina dorsale del potere militare dello Stato – ha aperto uno scenario fino a pochi mesi fa inimmaginabile nel Paese, diviso tra diversi blocchi armati.
Rifare l’esercito
Il nuovo uomo forte di Damasco, il presidente Ahmed al-Sharaa (alias Abu Mohammed al-Jolani), e il governo di transizione mirano a formare un nuovo esercito nazionale con una gerarchia militare ben definita, modellata sugli eserciti convenzionali. Ma l’impresa rischia di essere quanto mai ardua, se si tiene conto che queste ipotetiche nuove forze armate potrebbero essere composte da combattenti provenienti da oltre 60 fazioni e formazioni diverse. Per non parlare degli ex ufficiali dell’esercito siriano, molti dei quali in esilio.
Secondo quanto riferisce una fonte anonima interna al ministero della Difesa di Damasco, riportata in un articolo pubblicato il 12 giugno sul portale del Middle East Institute di Washington, il piano per arrivare a un esercito nazionale prevede diverse fasi: l’equipaggiamento delle basi militari, la costruzione della struttura organizzativa, le promozioni, le nomine e il dispiegamento geografico delle forze. Passaggio obbligato, la formazione di divisioni militari in tutte le regioni siriane e l’integrazione delle fazioni nelle fila dell’esercito regolare. Da ultimo (ed è un punto decisamente critico), il ruolo dei leader, che manterranno il comando della propria fazione all’interno dell’esercito, affiancati però da un ufficiale proveniente dai ranghi dell’esercito nazionale.
Chi finanzia?
Non è chiaro ad oggi quale nazione sarà disposta ad armare il nuovo esercito siriano. La Giordania ha offerto di addestrare le forze siriane e di fornire accesso ad armi e sistemi occidentali. Ma la fattibilità o meno di questa opzione dipende soprattutto dal placet degli Stati Uniti. Sembra che al-Sharaa stia cercando di mantenere aperti i canali di comunicazione anche con la Russia come potenziale fornitore alternativo di armi, in caso di rifiuto da parte dell’Occidente.
C’è poi la possibilità che il Qatar possa finanziare il nuovo esercito. Evidenti e piuttosto scontate le aspirazioni della Turchia. Dalla caduta del regime di Assad, nel dicembre 2024, Ankara e Damasco stanno negoziando un accordo di difesa congiunto. Secondo il patto proposto, la Turchia fornirebbe copertura aerea e protezione militare al nuovo governo siriano, che attualmente è sprovvisto di un sistema di difesa aerea. I primi passi per assumere il controllo della base aerea di Tiyas, nota anche come T4, e della base aerea di Palmira, entrambe situate nel governatorato di Homs e pesantemente danneggiate dai raid aerei israeliani, sono già stati fatti. I piani di Ankara prevedono la ricostruzione delle basi e il loro equipaggiamento con sistemi di difesa aerea (probabilmente il sistema a fabbricazione russa S-400) e droni capaci di attacchi a lungo raggio.
Inutile dire che le ambizioni turche di assicurarsi basi aeree in Siria hanno suscitato forte preoccupazione in Israele, il quale osserva con allarme la crescente cooperazione tra Ankara e Damasco, nonché la prospettiva di un’espansione militare turca nel cuore del territorio siriano, vista come una vera e propria minaccia da Tel Aviv.
Le sfide da vincere
Per arrivare all’obiettivo di un esercito unico siriano, al-Jolani ha di fronte a sé sfide tutt’altro che semplici.
La prima: mantenere l’unità stessa di Hayat Tahrir al-Sham, la fazione di cui lui stesso è leader e che, a cavallo tra il novembre e il dicembre 2024, ha permesso la cavalcata trionfale da Idlib fino a Damasco, per la presa del potere. Il tentativo di «normalizzazione» per ottenere legittimità internazionale non è ben visto da tutti i sottoposti di al-Sharaa, che pongono limiti invalicabili alle concessioni. La tensione potrebbe diventare particolarmente acuta se le pressioni interne e internazionali riuscissero a spingere il presidente ad interim ad escludere i jihadisti stranieri dalla struttura del nuovo esercito, dopo i tanti sacrifici compiuti da questi combattenti per la causa. L’inviato speciale degli Stati Uniti per la Siria, Thomas Barrack, non a caso ha avanzato la preoccupazione che al-Sharaa possa venire addirittura assassinato a causa della sua disponibilità a collaborare con l’Occidente.
La seconda sfida: la differenza d’influenze ideologiche e affiliazioni esterne. Alcune fazioni, come Faylaq al-Sham e Ahrar al-Sham, sono radicate in un’ideologia islamista. Altre, come la divisione Sultan Murad, dei turkmeni, sono motivate da spinte nazionaliste. Ci sono anche fazioni con identità settarie, come i drusi di Suwayda, e gruppi con agende etniche, come le Forze democratiche siriane (Sdf) a guida curda.
Una terza sfida riguarda le differenti percezioni circa la natura delle minacce e l’identità del nemico. La minaccia è dentro o fuori la Siria? Il nemico è Israele o la Turchia? Queste differenti visioni portano al risultato di un crescente scetticismo sul carattere nazionale dell’esercito, che alcuni vedono come fondato su una base sunnita islamista a guida Hayat Tahrir al-Sham, quindi troppo schiacciato sulle posizioni di Ankara.
Quarto punto: il settarismo, una caratteristica distintiva dell’opposizione armata siriana. Ogni fazione ritiene di aver giocato un ruolo fondamentale nel rovesciamento del regime, e questa percezione determina diverse e contrastanti aspettative riguardo al proprio status all’interno del nuovo esercito e alle future gerarchie.
La quinta sfida riguarda il tempo. La creazione e l’addestramento di un esercito che deve mixare realtà tanto eterogenee potrebbe durare a lungo. Ma non è detto che questo tempo ci sarà e che chi è abituato ad avere potere (politico, militare) sarà in grado di pazientare.
Infine, sul tappeto va messa anche la scarsità di risorse e finanziamenti. La nuova amministrazione ha ereditato una situazione militare disastrosa, specialmente dopo la distruzione, da parte di Israele, di gran parte degli asset dell’esercito siriano. Dato che in agenda vengono prima innumerevoli emergenze umanitarie dove (o presso chi) trovare le risorse per la costruzione di un esercito moderno e ben equipaggiato?
Un’impresa da funamboli
Insomma, gli ostacoli all’obiettivo di al-Sharaa di ricostruire l’esercito siriano sono numerosi, e le risorse (e il tempo) scarseggiano. La direzione intrapresa dal governo di Damasco appare per molti versi scivolosa, se non pericolosa, soprattutto a causa dell’esclusione degli ufficiali disertori, della marginalizzazione del loro ruolo e del quasi totale affidamento alla forza di Hayat Tahrir al-Sham. Se non verrà trovato un equilibrio tra spinte e controspinte, tra fazioni e gruppi armati, il rischio è di un fallimento che rischia di rigettare la Siria in un baratro di violenza.