Il corso di formazione per accompagnatori spirituali di pellegrini, che si volge all’inizio di giugno tra Gerusalemme e il deserto del Negev, assume un significato particolare in questo tempo di guerra. Dal testo biblico e dai resti archeologici, tracce nuove di riflessione sui legami con la Terra Santa.
Tornano in Terra Santa, malgrado tutte le incertezze della guerra, i Commissari francescani italiani insieme ai loro collaboratori e alcuni Commissari di Polonia e Slovenia, membri della conferenza di lingua italiana. Dal 2 al 9 giugno 2025, una trentina di religiosi e laici parteciperanno a un corso di formazione e aggiornamento per accompagnatori spirituali di pellegrini. Il tema è il deserto, nell’Antico e Nuovo Testamento, come luogo di nascita alla fede, della chiamata, e spazio dove hanno inizio grandi imprese. Il Neghev ha fornito lo sfondo per l’Esodo dall’Egitto; i suoi sentieri sono stati percorsi dai figli di Giacobbe e in quel deserto visse Abramo con il figlio Isacco. Tante sono le attestazioni archeologiche che parlano delle civiltà che fanno da sfondo all’esperienza dei Patriarchi e del primo cristianesimo.
È l’ultima parte di un percorso triennale, avviato prima dello scoppio della guerra tra Israele e Hamas. Nel 2023 ci fu un primo corso incentrato su Gerusalemme e il deserto di Giuda. L’anno seguente il tema è stato l’ebraismo in Galilea. Ora la proposta formativa giunge alla sua conclusione, e non si tratta solo di un approfondimento culturale.
Il corso si intitola «Nella terra promessa come terra straniera» (cfr Lettera agli Ebrei, cap. 11, versetto 9). «È un titolo dato ai Patriarchi – spiega fra Matteo Brena, Commissario di Terra Santa della Toscana –. Dio promette una terra, però chiede ai Patriarchi e al popolo scelto di non vantarne un possesso. La terra promessa è un’eredità, non è mai un possesso della terra». Questo messaggio biblico ha un significato profondo nel contesto attuale. «La condivisione serve per vivere bene, insieme: è il messaggio che sarà approfondito nel corso – aggiunge –. Un tema che si riallaccia a quello del Figlio dell’Uomo che non ha dove posare il capo: tema della fiducia nella relazione con Dio, per trovare casa e trovare pace».
Tra civiltà nabatea e cristianesimo antico
Don Gianantonio Urbani, archeologo e docente allo Studium Biblicum Franciscanum (Sbf), è uno dei docenti di questo corso su tematiche bibliche legate al deserto, che nella sua parte teorica si svolge a Gerusalemme. Altri docenti dell’Sbf coinvolti sono i biblisti fra Georg Geiger, fra Alessandro Coniglio, fra Matteo Munari e don Vincenzo Lopasso e l’archeologo cappuccini fra Yunus Demirci. Nei giorni successivi il gruppo attraverserà il deserto di Giuda, l’area del Mar Morto, con la guida di fra Amedeo Ricco, per svolgere poi in modo più ampio una visita alle valli del deserto del Negev e ai siti archeologici cananei e nabatei, condotti da don Gianantonio. «Nel percorso di studio e visite archeologico-topografiche ci concentreremo in particolare sulla regione del Negev – ci spiega –, dove l’antica popolazione dei nabatei ha dimorato per secoli. Questa loro presenza fu un importante snodo di relazioni tra regioni e fu accompagnata dal fiorire di antiche città nel deserto, come Avdat, Mamshit, Shivta, Nizzana, in stretta relazione con la bellissima Petra e con lo snodo marittimo di Gaza, oggi al centro di una situazione molto triste».
Perché dunque organizzare, in uno scenario storico così problematico, questo momento di formazione e riflessione? «Ci si è fatti domande sull’opportunità – osserva fra Matteo –. Oggi acquista un significato nuovo. Le guide di Terra Santa non solo ne escono arricchite nella loro formazione. È un segno di vicinanza alla Custodia, un segno di comunione, cui partecipano anche laici. Significa approfondire un legame con una terra preziosa, patrimonio dei credenti, che ha uno status particolare, che è di ognuno, anche in momenti difficili». Non trascurando di viaggiare in Terra Santa, gli accompagnatori spirituali dei pellegrini mostrano dunque il desiderio di riflettere sui legami più profondi con questa terra, che resta comunque «casa», e sul senso di percorrerla in pellegrinaggio.
Nel Negev ci sono i segni di un’importante presenza cristiana che già nei decenni passati fu studiata dagli archeologi francescani, come padre Bellarmino Bagatti. «Contestualizzare una regione desertica antica e le popolazioni che l’hanno abitata – aggiunge don Gianantonio – significa leggerne le tracce e ricostruire, con l’archeologia, la topografia e la geografia, un ambiente biblico straordinario e ricco di spunti di lettura e vita». Il deserto è anche un ambiente naturale affascinante: qui si trova il Machtesh Ramon, il grande cratere profondo 500 metri, dove la Creazione e la formazione della terra si fondono in uno spettacolare paesaggio fatto di rocce colorate, wadi e nahal, piante, animali, cisterne per la raccolta dell’acqua e altri segni dell’attività quotidiana degli uomini. (f.p.)
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