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Vaccini anti-Covid, la Terra Santa a due velocità

Nello Del Gatto
5 marzo 2021
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Vaccini anti-Covid, la Terra Santa a due velocità
Una dose di vaccino anti-Covid pronta per l'inoculazione a Tel Aviv, il 14 febbraio 2021. (foto Tomer Neuberg/Flash90)

Israele guarda avanti con una certa fiducia e allenta le restrizioni, grazie a un'efficace campagna vaccinale. Nei Territori Palestinesi, invece, le dosi di vaccino disponibili sono ancora poche e mal distribuite.


«Il Covid-19 è alle nostre spalle». Così ha detto, di recente, il premier israeliano Benjamin Netanyahu in un’intervista a una tivù americana. Dalla sua, i dati positivi in Israele: è stato vaccinato con la prima dose, o ha superato la malattia, circa l’85 per cento degli over 16 (se si considera la popolazione totale, giovani e adulti insieme, i vaccinati almeno con la prima dose sono il 53 per cento – ndr).

Così, per la prima volta da dicembre, il numero di ricoverati gravi è sceso a 700. A gennaio si erano registrate più di 1.000 vittime e 1.200 pazienti in gravi condizioni, soprattutto a causa dell’arrivo della variante inglese, che ha diffuso rapidamente il contagio quando sembrava che fosse rallentato. Per fare argine, a fine dicembre, il governo aveva imposto un nuovo lockdown, rimosso un paio di settimane fa.

Israele tra riaperture e cautele

Ora arriva la decisione di aprire dal 7 marzo a coloro che hanno il passaporto verde rilasciato ai vaccinati, alberghi, ristoranti e scuole. Anche l’aeroporto tornerà a funzionare, seppur con molte limitazioni e tra le critiche di chi pensa che questo porterà a un quarto lockdown.

Agli stranieri l’ingresso nel Paese sarà ancora interdetto, mentre tremila israeliani al giorno potranno entrare senza autorizzazione, arrivando da scali selezionati (New York, Parigi, Francoforte e Londra), facendo quarantena e sottoponendosi ai test, anche se sono vaccinati all’estero. Per la quarantena si dovrà andare in un «Covid hotel». Se proprio si vuole trascorrerla a casa, bisognerà indossare un braccialetto elettronico.

Le sfide che restano

Anche il passaporto verde presenta ancora degli inconvenienti, perché il sito del ministero della Salute e l’app collegata ancora non riconoscono i passaporti dei residenti stranieri. La campagna di vaccinazione procede spedita, anche se ci sono comunità ancora a rischio perché refrattarie o impossibilitate a ricevere vaccinazioni. Gli arabi israeliani, con «solo» il 64 per cento di vaccinati o guariti, guidano questa speciale classifica, mentre sarebbero oltre 7 su 10 gli ebrei ultraortodossi adulti che hanno ricevuto la prima dose di vaccino o hanno avuto la meglio sulla malattia.

A preoccupare di più è la questione dei minori di 16 anni (oltre il 25 per cento della popolazione israeliana). Il 50 per cento degli ultimi contagiati, infatti, riguarda questa categoria, al momento esclusa dalla vaccinazione. Per questo motivo, alcuni centri di ricerca stanno effettuando test vaccinali su ragazzi dai 12 ai 16 anni per verificare l’efficacia del vaccino ed eventualmente inocularlo anche a loro nel mese di maggio. Sprovvisti di vaccino, i giovanissimi sono esclusi dalle agevolazioni del passaporto verde, anche se accompagnati da adulti vaccinati.

La Palestina arranca

Più complesso è invece il problema Palestina, dove la campagna vaccinale non decolla e ci sono proteste. Israele ha annunciato che il 7 marzo comincerà la vaccinazione di 120mila palestinesi con permessi di lavoro in Israele, mentre nei Territori, si vaccina poco e male. Ad oggi a Ramallah – sede del governo dell’Autorità palestinese – sono giunte 12mila dosi di vaccino: duemila donate da Israele e 10mila acquistate dalla Russia. Nella Striscia di Gaza controllata da Hamas, invece, ne sono arrivate 20mila, donate dagli Emirati Arabi Uniti. Le dosi promesse da altri Paesi, tra i quali l’India, o quelle che dovrebbero arrivare nell’ambito del piano Covax dell’Organizzazione mondiale della sanità, tardano ancora.

Vaccinazioni e corruzione

Scoppiano intanto le polemiche per la gestione dei vaccini a Ramallah, dopo che si è scoperto che il 10 per cento delle dosi arrivate in Cisgiordania, sono state destinate ai calciatori della nazionale palestinese, a membri del governo, ad alti funzionari e membri del partito di Fatah e a esponenti dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Il restante 90 per cento sarebbe stato dato a operatori sanitari. Duecento dosi, invece, sono state donate e inviate al governo giordano. Molte organizzazioni che si battono per i diritti civili hanno protestato contro questa scelta del governo di Ramallah, che hanno definito scellerata e che dimostra, secondo loro, ancora una volta, quanto sia corrotto il governo palestinese.

In un sondaggio dello scorso dicembre, l’86 per cento degli intervistati riteneva che il governo di Ramallah fosse corrotto. Le dosi in Cisgiordania per ora non hanno raggiunto gli anziani (sopra i 65 anni) che, secondo le statistiche, rappresentano il 3,4 per cento della popolazione, mentre il 4,7 per cento ha tra i 55 e i 64 anni.

Sui social, si fa strada una campagna di protesta contraddistinta dall’hashtag #WhereIsTheVaccine. La situazione è molto difficile: solo il 4 marzo il governo ha annunciato il record di 2.300 nuovi casi (216.802 totali) e 18 vittime (2.314 totali). Alla luce di questi dati, il governo di Ramallah ha deciso la chiusura delle scuole e si orienta verso un altro lockdown.

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