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Nello Yemen le mine massacrano donne e bambini

Manuela Borraccino
1 dicembre 2022
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Oltre 300 gli incidenti – con 95 morti e 248 feriti – nei sei mesi di tregua scaduta alla fine di settembre. Un’organizzazione che in quattro anni ha disinnescato 225mila ordigni, con l’appoggio dell’Arabia Saudita, avverte: «Ci vorranno anni per bonificare il Paese».


Dalila e sua cugina Afaf erano uscite di buon mattino per procurarsi dell’acqua nel distretto di Sabir al-Mawadim, nel governatorato di Taiz in Yemen. Non potevano sapere che durante la notte i ribelli Huthi avevano infestato le strade di mine antiuomo. Nell’esplosione della mina, Dalila ha perso entrambi i piedi e sua cugina il piede destro. Sono passati cinque anni da quel giorno, ma le due ragazze sono solo alcune delle migliaia di donne e bambini resi invalidi o uccisi in questi anni di guerra dai micidiali ordigni che i guerriglieri Huthi hanno disseminato nel Paese.

Nei sei mesi di tregua non calano le vittime

Il conflitto in Yemen è entrato lo scorso settembre nel nono anno. La tregua proclamata nello scorso aprile non ha risparmiato vite, né mutilazioni da cui derivano invalidità permanenti. Secondo un recente rapporto dell’agenzia dell’Onu per il Coordinamento degli Affari umanitari, nei sei mesi del cessate il fuoco le mine hanno causato 300 incidenti tra i civili: 95 i morti e 248 i feriti. Il macabro conteggio supera addirittura il numero di incidenti dei sei mesi precedenti alla tregua, quando le esplosioni erano state 248 ed avevano provocato 101 morti e 147 feriti. Una piaga che colpisce nel 75 per cento dei casi donne e bambini. Anche perché, con una crudeltà che non conosce limiti, la maggior parte degli ordigni – anche in questa guerra – viene camuffata con giocattoli e scatole colorate di plastica lasciate sul ciglio delle strade, nascosta nei pressi dei pozzi, tra i cespugli di aree dove vanno a pascolare le pecore e persino all’interno di scuole e ambulatori.

Disinnescati 225mila ordigni in quattro anni

Osama al Gosaibi, manager di un progetto umanitario per lo sminamento promosso dall’Arabia Saudita dal 2018, sottolinea che «ci vorranno anni per bonificare il Paese, vista l’enorme quantità di mine disseminate sul territorio e la mancanza di dati su dove sono state piazzate». In quattro anni il progetto ha rimosso da oltre 40 milioni di metri quadrati di suolo yemenita circa 225mila ordigni, fra i quali oltre 134mila mine anticarro e 5.720 mine antiuomo. Alla data del 30 novembre scorso oltre 1.526 mine sono state rimosse o fatte esplodere in maniera controllata da varie aree lungo la costa occidentale yemenita, dove sono stati bonificati anche 39 campi minati. Proprio nell’area occidentale del Paese, contrassegnata da una massiccia presenza di guerriglieri Huthi, si registra il numero maggiore di vittime causato dalle mine, secondo quanto reso noto da un altro centro di ricerca (il Sam) con sede a Ginevra: nel solo governatorato di Taiz ci sono stati 541 morti e 8.149 feriti, in quello di al-Hodeidah 441 morti e 392 feriti, in quello di Marib 257 morti e 307 feriti.

La tregua in bilico

Poche le speranze di riattivare la tregua scaduta lo scorso 2 ottobre e tanto meno di includere negoziatrici donne come chiesto da tempo da più parti. L’inviato speciale dell’Onu per lo Yemen, Hans Grundberg, ha proposto una serie di misure per la normalizzazione della vita civile e la mobilità di persone e merci, come la riapertura di strade nel governatorato di Taiz, l’aumento di voli dall’aeroporto di Sanaa, l’alleggerimento delle restrizioni nel porto di Hodeida, il pagamento di salari nel settore pubblico e delle pensioni.

Le minacce degli Huthi

All’ultim’ora dei negoziati però gli Huthi hanno chiesto che il governo pagasse i salari dei ministeri dell’Interno e della Difesa nelle aree sotto il loro controllo finanziandoli con i profitti di gas e petrolio: una proposta che il governo ha rifiutato. Tra i nodi insoluti dei negoziati, rimarca l’International Crisis Group, resta proprio quello sulle fonti di reddito che dovrebbero coprire il pagamento dei salari pubblici e che potrebbero finire per coinvolgere le potenze regionali coinvolte nel conflitto in Yemen: secondo indiscrezioni sarebbero in corso colloqui riservati fra l’Arabia Saudita e gli Huthi per ripristinare la tregua. Gli Huthi starebbero cercando di fare pressioni sugli avversari minacciando di colpire gli impianti petroliferi internazionali, capitalizzando al massimo i danni di immagine con le migliaia di turisti presenti nell’area per i Mondiali di calcio in corso in Qatar.

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