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Patrimonio yemenita, il saccheggio continua

Laura Silvia Battaglia
16 giugno 2021
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Tombaroli, collezionisti, mercanti d'arte e musei stranieri. Una rete che contribuisce ad impoverire il patrimonio culturale dello Yemen, trafugando antichi documenti e codici. Molti manoscritti in ebraico giungono in Israele.


La spoliazione del patrimonio archeologico yemenita continua: lenta, inesorabile, silenziosa. È iniziata molto tempo prima della guerra scoppiata nel 2015, grazie a tombaroli assoldati all’occorrenza da ricchi collezionisti. Al punto tale che nel novero delle opere trafugate ce ne sono alcune di rara pregevolezza, prima contenute nei musei nazionali di Taiz o Aden: la più nota è un antico rilievo in alabastro yemenita, saccheggiato ad Aden durante la guerra civile del 1994, ed offerto in vendita alla casa d’aste Sotheby’s dai commercianti libanesi Ali e Hicham Aboutaam, noti tra i principali fornitori di musei tramite le loro gallerie d’arte antica Phoenix, site a Ginevra e a Manhattan (New York).

A quel tempo, per l’identificazione dell’opera, fu determinante la testimonianza di un ex impiegato del museo di Aden. Stavolta i tombaroli sono stati trovati con le mani letteralmente nel sacco, e all’interno del territorio yemenita. L’operazione risale allo scorso gennaio ma è stata resa nota solo recentemente dal ministero della Cultura del Paese: in sostanza, due giovani diretti al porto yemenita di Mocha, stavano trasportando un paio di antichi manoscritti. Fermati e perquisiti dalle guardie di sicurezza del governo centrale, al valico di Hanjar, a sud-ovest della città di Taiz, i giovani sono stati arrestati e i manoscritti sequestrati. Il rapporto della polizia ha rivelato che gli uomini trasportavano due rare copie del Corano che avevano più di otto secoli e che erano state rubate dal Museo nazionale di Taiz durante il saccheggio dello stesso nel luglio 2015. A quel tempo, il museo era passato sotto il controllo delle brigate salafite Abu al-Abbas collegate agli Emirati Arabi Uniti, secondo la testimonianza fornita da Ramzi al-Damini, il direttore del museo.

Il numero dei manoscritti trafugati non è noto poiché non è stato effettuato alcun inventario dopo il saccheggio. Ahmed Jassar, direttore delle antichità presso l’Organizzazione generale delle antichità e dei manoscritti (Goam) di Taiz, spiega che ciò è dovuto alla mancanza di fondi che ha impedito al museo di pagare chi avrebbe dovuto eseguire gli inventari. Si è riusciti a identificare, però, la filiera del contrabbando. E l’anima dell’operazione è già nota nel settore dei crimini d’arte: si tratta dell’antiquario Sami al-Maqtari, residente in Arabia Saudita dal dicembre 2019, dopo essere stato condannato per traffico illegale di antichi manoscritti yemeniti tra Aden, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita. I due giovani passeur hanno fatto il suo nome, dichiarando che il loro ruolo era consegnargli i manoscritti: avrebbe pagato loro 20mila riyal sauditi (più di 5mila euro) per ogni manoscritto e li aveva indotti a credere che intendesse restituirli al museo nazionale di Taiz.

Si tratta dell’ultimo bottino d’arte tracciato e conosciuto, considerato che lo Yemen ha un patrimonio culturale enormemente ricco e ospita molte migliaia di manoscritti e antiche pergamene, inclusi raffinati rotoli realizzati con pelle di daino, alcuni dei quali risalgono al primo periodo islamico, mentre molti altri sono attribuibili a ere preislamiche, e sono redatti in altre lingue, dal persiano al turco, dall’etiope all’ebraico. Già nell’agosto del 2014, la Goam, aveva annunciato la scoperta di un giro di contrabbando internazionale di antichità e manoscritti, operante tra la penisola arabica, Israele e la Turchia. Secondo i funzionari di Taiz, circa 2.500 manoscritti antichi in lingua ebraica sono stati contrabbandati dallo Yemen verso Israele in meno di 50 anni. La dottoressa Warda al-Jaradi, direttore finanziario della Casa dei Manoscritti di Sana’a, spiega che pochissimi di questi manoscritti sono registrati presso gli organismi nazionali competenti e la maggior parte rimane nei tradizionali centri di apprendimento o in antiche moschee, dalla Grande Moschea di Sana’a, all’al-Asha’ir, la grande moschea nell’antica città di Zabid.

Altri manoscritti sono stati registrati e tramandati come beni di famiglia: Mohammad Al-Falahi ereditò 30 frammenti di un manoscritto coranico da suo padre dopo che suo nonno, lo sceicco del villaggio di Mikhlaf nel governatorato di Raymah nello Yemen centrale, glielo trasmise. Al-Jaradi afferma che, sebbene il contrabbando di manoscritti yemeniti non sia una novità, è aumentato notevolmente negli ultimi sei anni da quando le forze straniere hanno preso il controllo dei porti del Paese. «Sappiamo frequentemente di manoscritti yemeniti venduti all’estero o esposti nei musei, principalmente in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti. Tuttavia, poiché è generalmente vietato fotografare manoscritti nei musei, è difficile verificare tali informazioni o dimostrare che sono stati portati illegalmente fuori dallo Yemen», afferma. La mancanza di tracciabilità è dovuta anche alle difficoltà dell’Unesco che, al momento, riconosce come legale, per via delle divisioni interne in Yemen, solo l’Organizzazione generale delle antichità e dei manoscritti che opera nel Sud del Paese, da Taiz ad Aden, ma non nel Nord, a Sana’a o Saada, sotto il controllo delle milizie Houthi.

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