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Fine dei ricorsi legali a Gerusalemme: quattro immobili cristiani vanno agli ebrei

Cécile Lemoine
10 giugno 2022
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Fine dei ricorsi legali a Gerusalemme: quattro immobili cristiani vanno agli ebrei
L'Hotel Imperial, alla Porta di Jaffa, è ora ufficialmente di proprietà dell'organizzazione ebraica Ateret Cohanim (foto Olivier Fitoussi/Flash90)

L'8 giugno scorso la Corte Suprema israeliana ha messo la parola "fine" alle diatribe legali tra il Patriarcato greco-ortodosso e l'organizzazione sionista ebraica Ateret Cohanim per la proprietà di alcuni edifici nel quartiere cristiano di Gerusalemme.


Siamo giunti alla fine di una complessa battaglia legale durata 18 anni. La richiesta del Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme di aprire un nuovo processo sulla vertenza immobiliare che lo contrappone al gruppo radicale ebraico Ateret Cohanim è stata respinta mercoledì 8 giugno dalla Corte Suprema israeliana. La sentenza esaurisce ogni altra possibilità di ricorso per la Chiesa greco-ortodossa.

La proprietà di quattro immobili – gli hotel Imperial, Petra e Little Petra, situati presso la Porta di Jaffa nella città vecchia di Gerusalemme, nonché di un altro edificio nel quartiere cristiano – viene quindi ufficialmente trasferita ad Ateret Cohanim. Questa organizzazione, che mira a giudaizzare Gerusalemme attraverso l’acquisto di edifici nei quartieri cristiano, armeno e musulmano del centro storico, aveva acquistato questi edifici dal patriarca greco-ortodosso Ireneos I nel 2004.

Una lunga battaglia

Quelle vendite, avvenute in modo poco trasparente e molto criticate dai cristiani palestinesi all’epoca, portarono alla destituzione di Ireneo I, che fu immediatamente sostituito da Theophilos III. Il nuovo patriarca promise di far di tutto per ottenere l’annullamento delle transazioni.

La Chiesa greco-ortodossa di Terra Santa insistette dapprima sul fatto che Ireneos I non aveva l’autorità di stipulare tali atti perché non aveva ricevuto l’approvazione del consiglio sinodale. Il che rendeva i contratti di vendita illegali. In seguito, fu presentata una seconda serie di argomentazioni, che accusavano Ateret Cohanim di aver usato tangenti per corrompere Nicholas Papadimas, il direttore finanziario della Chiesa greco-ortodossa di Gerusalemme e suo rappresentante nella stesura delle transazioni. «Alla fine, è stata questa rivendicazione a essere in gran parte al centro del procedimento», ha dichiarato la Corte Suprema israeliana nel suo verdetto.

«La decisione della Corte Suprema non è una sorpresa», sospira Bassma Kirresh, la cui famiglia ha in affitto i locali dell’albergo Little Petra dalla Chiesa greco-ortodossa. «Era chiaro che i giudici avrebbero rifiutato la nostra richiesta di un nuovo processo». Il tribunale aveva infatti già approvato l’atto di compravendita nel 2019, prima che il processo venisse congelato nel giro di qualche mese.

Il Patriarcato, denunciando una decisione che considera «ingiusta» e «priva di basi legali o logiche», ha dichiarato in un comunicato che continuerà a «sostenere la permanenza degli inquilini palestinesi in queste proprietà cristiane» e che rimarrà «inflessibile nella sua lotta per frenare la politica e l’agenda razzista dell’estrema destra israeliana», che secondo il Patriarcato «mira ad erodere l’identità plurale della città di Gerusalemme e a imporle una nuova fisionomia».

L’apprensione degli inquilini palestinesi

Resta ora da vedere ciò che accadrà negli immobili passati di mano. Il futuro degli affittuari degli alberghi dipenderà dal rispetto da parte di Ateret Cohanim dello status di «inquilino protetto» riconosciuto dalla legge. Ad oggi, i Dajani, affittuari e gestori dell’Imperial, e i Kirresh per il Petra, rimangono al loro posto, ma potrebbero essere sfrattati in qualsiasi momento.

Bassma Kirresh è preoccupato: “Ora possono arrivare e insediarsi in qualsiasi momento. E sarà ancora più facile per loro perché Little Petra è già occupata da coloni che hanno il sostegno della polizia. Il 26 marzo, alcuni membri di Ateret Cohanim hanno fatto irruzione nella struttura, dove si sono poi stabiliti.

«Molte domande rimangono tuttora senza risposta», afferma Gabi Hanni, gestore di Versavee, un ristorante situato in un edificio greco-ortodosso accanto all’Imperial Hotel. Il problema è che il cortile, dove vengono regolarmente allestiti i tavoli per gli avventori, si trova all’ingresso dell’hotel. «Non resta che aspettare e vedere cosa verrà deciso», aggiunge disilluso.

Entra in gioco anche la questione finanziaria. Se gli attuali inquilini potranno rimanere, probabilmente dovranno versare un affitto elevato. «Ateret Cohanim ha chiesto ai Dajani 10 milioni di shekel (pari a circa 2 milioni e 800 mila euro – ndr)», racconta Bassma Kirresh. «Ogni anno noi versiamo 40 mila shekel (poco più di 11mila euro – ndr) al Patriarcato ortodosso per l’affitto del Little Petra. Non saremmo mai in grado di pagare tutti quei milioni se ce li chiedessero».

Le famiglie contano sull’aiuto del Patriarcato, che in passato è stato in grado di erogare fondi per questo tipo di situazioni. Bassma Kirresh è determinato: «Non smetteremo di lottare. Rimarremo in albergo fino alla fine. Dobbiamo mantenere viva l’eredità cristiana nella città vecchia e alla Porta di Jaffa».

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