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E intanto la Turchia martella i curdi in Siria

Fulvio Scaglione
9 giugno 2022
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Mentre gioca il ruolo di ago della bilancia tra Russia e Ucraina, la Turchia di Erdoğan torna a prendersela con le forze curde nel nord della Siria. Il Medio Oriente paga dazio: di curdi e siriani sembra importare poco a chiunque.


I protagonisti cambiano, le circostanze pure, ma uguale resta la sensazione. E cioè che il Medio Oriente venga trattato come una pedina di scambio nei giochi delle grandi potenze.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan annuncia da settimane una nuova operazione militare in Siria, dove ne ha già condotte quattro in sei anni. Dice che vuole ripulire le zone di Tal Rifaat e Manbij dai «terroristi curdi», ovvero dalle Unità di protezione popolare (Ypg) affiliate al Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), per mettere al loro posto gli islamisti filo-turchi che già controllano Idlib. Quelli del Ypg non attaccano la Turchia, ma ovviamente a Erdoğan poco importa.

Ci sono molte ragioni dietro le sue decisioni. Non ultimo il tentativo di frenare il declino in vista delle elezioni presidenziali e politiche del 2023. Ma in questo momento quel che accade in Siria ha soprattutto un nome: Ucraina. Erdoğan è riuscito a piazzarsi al centro di quella crisi e ora si appresta a sfruttarla in ogni modo. La Russia, sta riportando in patria parte delle truppe dislocate in Siria per impiegarle in Ucraina, e non può inasprire i rapporti con un altro grande Paese affacciato sul Mar Nero, viste tutte le tensioni che circondano i porti e i traffici (grano compreso) su quel mare. Per la Turchia non sarebbe difficile mettere in difficoltà la Russia in Siria, le basterebbe passare parola ai gruppi terroristici che da anni mantiene a Idlib.

Per gli Stati Uniti, che sono i grandi sponsor del Ypg, il discorso è analogo. Non possono scontentare troppo Erdoğan per timore che questi sposti la bilancia delle sue acrobazie diplomatiche (per esempio, vendere armi all’Ucraina e intanto comprarne dalla Russia) verso Mosca, rompendo un equilibrio che per il momento resta l’unica e fragile speranza di un ritorno alla trattativa. Quindi lo lasceranno fare, chiedendogli magari di moderare le dimensioni dell’assalto.

Quelli che non contano nulla, come da tradizione, sono i siriani, che dopo gli anni da incubo della guerra vivono ora anni disperati per la devastazione economica aggravata da sanzioni che colpiscono i cittadini e non toccano il regime. E con loro i curdi, pedoni sempre sacrificabili su una scacchiera di soli re e regine.

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