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Ebbene sì, due Stati!

Fulvio Scaglione
30 gennaio 2020
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Anche il «piano di pace» dell'amministrazione Trump per la Terra Santa sembra riconoscerlo: al dunque la «soluzione a due Stati» resta quella più praticabile.


Il cosiddetto «piano di pace» di Donald Trump (che in realtà pare fatto apposta per destare il maggior numero possibile di rancori), nel suo furioso desiderio di scaricare sui palestinesi tutte le colpe per quanto avvenuto nell’ultimo secolo, offre però almeno un elemento interessante. Ovvero: la riproposizione della «soluzione a due Stati» che negli ultimi anni la destra israeliana aveva rigettato, giudicandola morta e sepolta.

Ovviamente Trump ha immaginato uno Stato palestinese ridotto ai minimi termini, privo di continuità territoriale, disarmato, alla mercé del più potente vicino. Resta il fatto che al dunque, quando dalla propaganda e dalle fucilate si prova a passare alla politica, la «soluzione a due Stati» resta quella più pratica e praticabile. L’implicita ammissione di Trump offre così alla disastrata classe di governo palestinese (ammesso che esista ancora, visto che da tredici anni non si vota) un’apertura forse inattesa.

Tanto più che l’idea di due Stati paralleli ha una storia molto più lunga di quanto molti credano. Cominciò a parlarne il Regno Unito, potenza mandataria in Palestina dal 1920 al 1948, già nel 1937, allorché la Commissione Peel immaginò di dividere l’area del mandato in tre: una parte araba, una ebraica e una terza, centrata su Gerusalemme, sotto amministrazione internazionale. L’anno dopo, 1938, la Commissione Woodhead riprese l’idea ed elaborò nuove proposte di spartizione, respinte sia dagli arabi sia dagli ebrei. Nel 1939 il governo britannico produsse un Libro bianco che addirittura immaginava un unico Stato per ebrei e palestinesi, ai quali comunque garantiva che non sarebbe stato creato alcuno Stato ebraico. Per finire, nel 1947 le Nazioni Unite, con la Risoluzione 181, ipotizzarono una spartizione simile a quella prevista dieci anni prima dalla Commissione Peel (Stato palestinese, Stato ebraico e Gerusalemme sotto amministrazione internazionale). La proposta fu respinta dai leader palestinesi e dai governi dei Paesi arabi. Le ragioni, peraltro, erano forse discutibili ma certo concrete: gli ebrei, con il 33 per cento della popolazione totale della Palestina, si vedevano assegnare il 55 per cento del territorio; agli ebrei toccavano quasi tutte le terre più fertili, all’epoca dedicate alla produzione di agrumi; i palestinesi avevano solo il 30 per cento degli sbocchi sul Mediterraneo, nessuno sbocco sul Mar Rosso e nessun accesso al Mare di Galilea (o Lago di Tiberiade), la maggiore risorsa idrica della regione.

Come si vede, quindi, il problema è sempre lo stesso. Nessuno è mai riuscito a immaginare una soluzione «migliore» della creazione di due Stati. E nessuno è mai riuscito a immaginare un modo per siglare quel patto in un modo che soddisfacesse entrambe le parti.


 

Perché Babylon

Babilonia è stata allo stesso tempo una delle più grandi capitali dell’antichità e, con le mura che ispirarono il racconto biblico della Torre di Babele, anche il simbolo del caos e del declino. Una straordinaria metafora del Medio Oriente di ieri e di oggi, in perenne oscillazione tra grandezza e caos, tra civiltà e barbarie, tra sviluppo e declino. Proveremo, qui, a raccontare questa complessità e a trovare, nel mare degli eventi, qualche traccia di ordine e continuità.

Fulvio Scaglione, nato nel 1957, giornalista professionista dal 1981, è stato dal 2000 al 2016 vice direttore di Famiglia Cristiana. Già corrispondente da Mosca, si è occupato in particolare della Russia post-sovietica e del Medio Oriente. Ha scritto i seguenti libri: Bye Bye Baghdad (Fratelli Frilli Editori, 2003), La Russia è tornata (Boroli Editore, 2005), I cristiani e il Medio Oriente (Edizioni San Paolo, 2008), Il patto con il diavolo (Rizzoli, 2016). Prova a raccontare la politica estera anche in un blog personale: www.fulvioscaglione.com

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