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Il Papa ai cattolici di Cipro: «Siate luminosi!»

Terrasanta.net
3 dicembre 2021
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Il Papa ai cattolici di Cipro: «Siate luminosi!»
Papa Francesco all'altare nello Stadio GSP di Nicosia, affiancato dal patriarca maronita e dal patriarca latino di Gerusalemme. (foto PIO/Cyprus)

Papa Francesco ha presieduto una Messa celebrata all'aperto nello stadio di Nicosia per un'assemblea multicolore di fedeli che occupavano un settore delle gradinate. Nell'omelia tre insegnamenti tratti dal Vangelo.


(g.s.) – Una Messa è una Messa. Il memoriale vivo del Signore che sempre si dona di nuovo alla sua Sposa per la salvezza di tutti. In questo senso l’assemblea liturgica che la mattina del 3 dicembre ha riunito allo stadio GSP di Nicosia i cattolici di Cipro intorno al Papa è stato il vertice del viaggio di Francesco. Anche qui, come in Terra Santa e in altre regioni del Medio Oriente, i fedeli formano un popolo «meticcio», fatto di persone di molteplici origini e provenienze. Il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa, che ha giurisdizione sulle comunità di rito latino a Cipro lo ha descritto così, nel breve indirizzo di saluto al Papa all’inizio della Messa: «In questa assemblea non si può distinguere chi è cipriota e chi no. Qui le più disparate provenienze – asiatici, africani, europei, migranti, lavoratori stranieri – insieme ai ciprioti locali formano un unico corpo, un’unica comunità, proprio come ai tempi del primissimo annuncio. E questo ci fa credere che la riconciliazione in Cristo è possibile, che il Kyrios può vincere le nostre paure, che può attraversare le porte dei nostri cenacoli chiusi e dire: “Pace a voi!”».

Pizzaballa: «Le nostre ferite possono essere trasfigurate»

Il patriarca ha anche menzionato i drammi dell’isola, che sono poi i drammi del Medio Oriente, del Mediterraneo e dell’Europa intera: «Cipro condivide le ferite dell’Europa e del Medio Oriente al tempo stesso: ferite, che sono divisioni politiche, militari e – bisogna riconoscerlo non senza amarezza – anche religiose. Nemmeno la prima Chiesa di Cipro fu esente da vicissitudini (Atti degli apostoli 13,13; 15, 36-40), senza però che questo impedisse il diffondersi del Vangelo. Anche oggi, perciò, le nostre vicissitudini non diventino pretesto per fermare l’annuncio. Nicosia, capitale cipriota, è l’ultima capitale europea a vedere ancora un muro di divisione, una ferita profonda nell’isola. Oggi, tuttavia, insieme ai nostri amati fratelli ortodossi, guardiamo a Cristo, “che ha abbattuto il muro di separazione (…), cioè l’inimicizia” (Lettera agli Efesini 2,14). Per questo gridiamo la nostra speranza, che è già per noi una certezza. Se ci rattristano le nostre ferite, e quelle delle nostre terre divise, sappiamo però che esse possono essere trasfigurate, i nostri muri interni abbattuti, la storia riscattata e redenta. Nell’ottica di questo “riscatto” non possiamo non manifestare oggi la nostra più viva gratitudine alla Chiesa ortodossa che, specialmente a Cipro, mostra segni di grande apertura e amicizia alla nostra Chiesa, consentendoci perfino di celebrare le nostre Eucaristie nelle loro chiese. Chissà che questa nostra esperienza positiva non possa essere un primo passo verso quell’unità tanto attesa dalla nostra gente; che Cipro possa diventare per le altre Chiese modello di unità e armonia, di incontro e sincera amicizia».

Il Papa nell’omelia ha commentato il brano del Vangelo di Matteo al capitolo 9, versetti 27-31. Entrano in scena due ciechi che insieme chiedono al Signore Gesù di aver pietà di loro.

Il Papa: «Nella vita siamo tutti un po’ ciechi»

«Anche noi, lo sappiamo, – ha riflettuto Francesco – portiamo nel cuore delle cecità. Anche noi, come i due ciechi, siamo viandanti spesso immersi nelle oscurità della vita. La prima cosa da fare è andare da Gesù, come Lui stesso chiede: “Venite a me voi tutti, che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro” (Mt 11,28). Chi di noi non è in qualche modo stanco e oppresso? Tutti. Però facciamo resistenza a incamminarci verso Gesù; tante volte preferiamo rimanere chiusi in noi stessi, stare soli con le nostre oscurità, piangerci un po’ addosso, accettando la cattiva compagnia della tristezza. Gesù è il medico: solo Lui, la luce vera che illumina ogni uomo (cfr Gv 1,9), Lui ci dà l’abbondanza di luce, di calore, di amore. Solo Lui libera il cuore dal male».

Secondo insegnamento del brano evangelico è «portare insieme le ferite». Suggerisce il Papa: «I due ciechi, con la condivisione delle loro sofferenze e con la loro fraterna amicizia, ci insegnano tanto. Ciascuno di noi è in qualche modo cieco a causa del peccato, che ci impedisce di “vedere” Dio come Padre e gli altri come fratelli. Questo fa il peccato, distorce la realtà: ci fa vedere Dio come padrone e gli altri come problemi».

Terzo e ultimo passaggio è annunciare il Vangelo con gioia, senza volontà di proselitismo. «Vi incoraggio – ha concluso papa Bergoglio – ad andare avanti su questa strada: come i due ciechi del Vangelo, rinnoviamo anche noi l’incontro con Gesù e usciamo da noi stessi senza paura per testimoniarlo a quanti incontriamo! Usciamo a portare la luce che abbiamo ricevuto, usciamo a illuminare la notte che spesso ci circonda! Fratelli e sorelle, c’è bisogno di cristiani illuminati ma soprattutto luminosi, che tocchino con tenerezza le cecità dei fratelli; che con gesti e parole di consolazione accendano luci di speranza nel buio».

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