Un titolo ad effetto nei sommari dei Tg sul «terrore che ritorna a Gerusalemme». E poi via, pronti a voltare pagina. Ormai l'abbiamo capito: non siamo più disposti ad andare oltre questo rispetto alle ferite che continuano a lacerare la Città Santa. Quella che tanto ci piace osservare nelle sue immagini più belle, quelle da cartolina...
Un titolo ad effetto nei sommari dei Tg sul «terrore che ritorna a Gerusalemme». E poi via, pronti a voltare pagina. Ormai l’abbiamo capito: non siamo più disposti ad andare oltre questo rispetto alle ferite che continuano a lacerare la Città Santa. Quella che tanto ci piace osservare nelle sue immagini più belle, quelle da cartolina.
Così il meccanismo si è ripetuto puntuale questa settimana, con l’attacco che mercoledì un palestinese di Gerusalemme Est ha portato con la sua auto a un gruppo di ebrei in attesa a una fermata del metrò leggero, causando la morte di una bambina di tre mesi e il ferimento di altre persone. È un’azione che solo chi ha chiuso gli occhi su quanto accaduto a Gerusalemme negli ultimi mesi può considerare una fiammata di violenza improvvisa. Perché – anche se il mondo ha smesso molto in fretta di parlarne – si tratta sempre dei veleni che all’inizio di luglio l’uccisione dell’adolescente palestinese Abu Khdeir (seguita a quella di Eyal, Gilad e Neftali, i tre coetanei ebrei di una yeshivà in Cisgiordania) ha portato allo scoperto.
Dopo quelle giornate con i riflettori puntati su Gerusalemme l’attenzione si è spostata in fretta sulla guerra a Gaza, con l’esito che ricordiamo. Il problema – però – è che nella Città Santa gli scontri non sono mai finiti. Vanno avanti da settimane a bassa intensità, soprattutto nei quartieri di Silwan e Sheikh Jarrah, quelli negli ultimi anni più intensamente colpiti dall’operazione dei gruppi ebraici che comprano case nel mezzo di quartieri arabi, con l’idea di dare vita a nuovi avamposti a Gerusalemme Est. A questa politica si associa anche un volto religioso: quello degli ebrei nazionalisti che premono per poter andare a pregare liberamente sul «Monte del Tempio» – che per i musulmani è poi la Spianata delle moschee. Ogni volta che c’è una festività ebraica il braccio di ferro si fa più incandescente e la cosa è puntualmente accaduta in occasione di Sukkot, la festa delle capanne celebrata pochi giorni fa. Di qui il solito grido di «Al Aqsa è in pericolo», seguito da sassaiole e scontri con la polizia israeliana questa volta entrata anche all’interno della grande moschea. Di tutto questo avete visto traccia sui nostri giornali? Ovviamente no. Perché è «la solita storia».
Solo che poi – come racconta Meron Rapoport nell’articolo che linkiamo sotto – capita che un palestinese di Gerusalemme Est tra i tanti che hanno postato su Facebook le immagini di al Aqsa a soqquadro nel fumo dei lacrimogeni, una sera con la sua auto si scagli contro un gruppo di ebrei. E lo faccia non a caso proprio a una fermata del metrò leggero, quello che attraversa anche Gerusalemme Est come se lo status internazionalmente conteso della Città Santa semplicemente non esistesse. E con questo gesto uccida una bambina di tre mesi.
Sarebbe bello poter dire che è la solita follia dei fanatici di Gerusalemme. Ma la vera follia è quella di un mondo che chiude gli occhi di fronte all’insostenibilità di una situazione in cui a governare una città di 800 mila abitanti è una politica ideologica che di fatto – nel migliore dei casi – rimuove l’esistenza di un terzo dei suoi abitanti che non sono ebrei. Adesso – dopo l’attentato di mercoledì – la tensione è di nuovo alle stelle e il rischio di nuove violenze è altissimo. E non aiutano certo a contenerla dichiarazioni come quelle di Neftali Bennnett – il vero uomo forte oggi del governo Netanyahu, sempre più avviato verso nuove elezioni in primavera – che come un disco rotto chiede come risposta più case ebraiche a Gerusalemme Est.
Intanto lunedì al Cairo riprendono i negoziati sul cessate il fuoco di questa estate a Gaza. Colloqui surreali tra due delegazioni che sanno benissimo che quella guerra è finita per inerzia, non certo perché ciascuno abbia ottenuto qualcosa. E la comunità internazionale? Ha staccato come al solito un assegno per la ricostruzione nella Striscia. E approva risoluzioni come quella del parlamento inglese sulla Palestina, politicamente di grande impatto ma all’atto pratico priva di alcuna efficacia. E Gerusalemme? Molto più comodo fermarsi alla cartolina.
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