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Satolla e timorosa, l’Europa resta alla finestra

Fulvio Scaglione
30 ottobre 2024
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Com’è possibile che la vecchia e civile Europa accetti quanto sta avvenendo in Medio Oriente senza, di fatto, battere ciglio? Le dimensioni dei massacri che si succedono da un anno ormai prescindono dai torti e dalle ragioni. Sono un punto interrogativo sulla nostra umanità.


Di solito funziona così: Israele bombarda una scuola, un campo profughi, un palazzo (l’ultimo, a Beit Lahia, il 29 ottobre scorso: un centinaio, o forse più, i morti), dice che era pieno di terroristi e buona parte dei giornali occidentali riporta la dichiarazione. D’altra parte che si potrebbe fare? La Striscia di Gaza è chiusa alla stampa straniera e/o indipendente, andare a vedere quel che succede non si può. C’è la censura militare. E per chi non avesse capito, ci sono le decine e decine di giornalisti e operatori dell’informazione palestinesi uccisi a Gaza nell’ultimo anno. Negli ultimi tempi, poi, i portavoce delle forze armate di Israele non fanno neanche più lo sforzo di dare una motivazione ai bombardamenti. Non serve, nessuno gliela chiede.

Qualcosa del genere è successo con la messa al bando dell’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite che dal 1949 assiste i profughi palestinesi. Protestano l’Onu, l’Oms, Amnesty International e la solita Norvegia. Gli Usa protestano per finta, l’Italia esprime «dispiacere». Tipo: «Mi spiace, non fumo». O: «Mi spiace, non ho spiccioli». D’altra parte l’Italia fu tra i primi Paesi, nel 2023, a tagliare i fondi all’Unrwa quando Israele accusò 12 dei suoi dipendenti – sui 30 mila totali – di militare tra i terroristi di Hamas, anche se poi ha ripreso a finanziare in seguito.

In Germania, 300 docenti universitari e intellettuali hanno firmato un appello per chiedere le dimissioni della ministra degli Esteri Annalena Baerbock che aveva dichiarato: «Ho detto chiaramente alle Nazioni Unite che i siti civili possono perdere il loro status di luoghi protetti se i terroristi ne abusano». Che in pratica significa: se penso che in un certo posto (scuola, moschea, palazzo) possono esserci terroristi, ho il diritto di sparare su tutto e su tutti. E se poi i terroristi non ci sono? O ci sono dieci terroristi e cento civili? Alla Baerbock certe sottigliezze interessano poco. D’altra parte è una militante dei Verdi, a lei interessano le sorti del pianeta, mica di quelli che lo abitano.

Com’è possibile che la vecchia e civile Europa accetti quanto sta avvenendo senza, di fatto, battere ciglio? Le dimensioni dei massacri in corso ormai prescindono dai torti e dalle ragioni, sono un punto interrogativo sulla nostra umanità. Nei primi 100 giorni dopo il massacro messo in atto dai terroristi di Hamas il 7 ottobre 2023, e cioè fino al 14 gennaio 2024, è stato ucciso più dell’1 per cento della popolazione di Gaza. Un rapporto delle Nazioni Unite ha calcolato che «nessun altro conflitto armato nel ventunesimo secolo» ha avuto «un impatto altrettanto devastante su una popolazione in un arco di tempo così breve. Per trovare un periodo di 100 giorni con maggiore spargimento di sangue è necessario tornare al genocidio dei tutsi del 1994 in Ruanda».

La mia spiegazione sta nella famosa frase dell’uscente Alto rappresentante Ue per la politica estera e di difesa, Josep Borrell, che definì l’Europa «un giardino circondato da giungle». Siamo vecchi, satolli e terrorizzati da quasi tutto. Dai migranti, dal Terzo mondo che diventa Secondo e forse Primo, dai russi, dai cinesi, dai palestinesi, da Donald Trump e da chissà che altro. È la paura il sentimento prevalente. E l’inazione il tratto dominante: cerchiamo qualcuno che fermi la giungla al posto nostro, qualcuno che, come si sente dire spesso, «combatta per noi». Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è il caso più clamoroso. Ma anche Benjamin Netanyahu va benissimo, a quanto pare.

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