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Lo sguardo di Dio sui «poveri in spirito»

fra Matteo Munari
6 aprile 2023
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Chi sono i poveri in spirito di cui parla Gesù nel celebre discorso delle beatitudini? Proviamo a capirlo insieme, anche con l'aiuto di san Francesco d'Assisi.


«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli» (Vangelo di Matteo 5,3). Gesù comincia il suo primo grande discorso promettendo gioia ai «poveri in spirito». Invito tutti i lettori a fare un sondaggio nella propria comunità chiedendo ai fratelli e alle sorelle chi sono i poveri in spirito.

Il sondaggio risulterà probabilmente in un insieme di risposte confuse che evidenzieranno la difficoltà nel comprendere un’espressione semitica tradotta in modo letterale nelle nostre lingue. Il prete «di sinistra» tradurrà forse la prima beatitudine come un invito alla rivoluzione o almeno a un concreto impegno nel sociale, mentre quello «di destra» spiegherà la povertà in spirito come generosità del ricco che deve rimanere ricco per poter continuare a contribuire con ingenti donazioni al mantenimento delle istituzioni ecclesiali.

Conviene dunque fare un passo indietro e cercare di comprendere cosa intendeva Gesù in origine per poi tradurre nella cultura odierna il contenuto della beatitudine. Quando in ebraico o in aramaico un aggettivo o un sostantivo sono seguiti dalla parola «spirito», significa che si sta parlando di una condizione o di un atteggiamento interiore. Il passo dell’Antico Testamento che più si avvicina al concetto di povertà in spirito è forse Isaia 66,2b: «Su chi volgerò lo sguardo? Sull’umile e su chi ha lo spirito contrito e su chi teme la mia parola». Letteralmente, coloro che sono beneficiati dallo sguardo di Dio sono i «poveri e affranti in spirito»: i poveri in spirito sono coloro che si umiliano davanti a Dio sottomettendosi alla sua Parola.

Semplificando, quindi, la povertà in spirito corrisponde all’umiltà e alla docilità di fronte a Dio e alla sua volontà. Il contrario della povertà in spirito è l’orgoglio e il senso di autosufficienza. Per questo san Francesco d’Assisi spiega così la prima beatitudine: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Ci sono molti che, applicandosi insistentemente a preghiere e occupazioni, fanno molte astinenze e mortificazioni corporali, ma per una sola parola che sembri ingiuria verso la loro persona, o per qualche cosa che venga loro tolta, scandalizzati, tosto si irritano. Questi non sono poveri in spirito, poiché chi è veramente povero in spirito odia sé stesso e ama quelli che lo percuotono nella guancia» (Ammonizione XIV).

Il povero in spirito non ha niente da difendere in questo mondo perché sa di appartenere al Padre celeste al quale tutto appartiene. Il povero in spirito non è permaloso o particolarmente suscettibile, perché sa di essere un figlio di Dio e che la sua dignità non è certo misurata dai commenti altrui. Il povero in spirito è colui che entra nel Regno dei cieli, entra cioè a far parte della famiglia di Dio. Il Regno dei cieli gli appartiene perché è la sua famiglia.

Il povero in spirito è anche povero materialmente? Quando Dio diventa il tutto della nostra vita, comprendiamo che attraverso l’elemosina possiamo avvicinarci sempre più a Lui (cfr Mt 6,1-4). Quando il Signore è il nostro tesoro in cielo, allora non ha più senso accumulare tesori su questa terra (cfr Mt 6,19-21). Quando il regno di Dio diviene l’oggetto del nostro desiderio, allora tutto il resto ci è dato in sovrappiù (cfr Mt 6,33). Il povero in spirito quindi non accumula per sé ma soltanto utilizza ogni cosa per il servizio del regno dei cieli. Il Signore doni a tutti noi la gioia della povertà evangelica!

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