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Dubbi arabi sulla guerra all’Isis

di Giorgio Bernardelli
24 settembre 2014
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Da una manciata di ore nella lotta contro lo Stato islamico sono cominciati i raid aerei degli Usa e di alcuni alleati arabi anche sulla Siria. Proprio la questione dell'ambiguità nei rapporti tra alcuni di questi Paesi e la galassia jihadista nel cui alveo si è affermato lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis) è stato uno dei temi più discussi in queste settimane. È naturale allora chiedersi: come guardano le opinioni pubbliche locali a questa partecipazione militare?


Da una manciata di ore nella lotta contro lo Stato islamico sono cominciati i raid aerei anche sulla Siria. E questa volta – insieme ai caccia americani – a bombardare le postazioni dei jihadisti a Raqqa, Deir ez Zor e alla periferia di Aleppo è anche l’aviazione di cinque Paesi arabi: Arabia Saudita, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Qatar. Proprio la questione dell’ambiguità nei rapporti tra alcuni di questi Paesi e la galassia jihadista nel cui alveo si è affermato lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis) è stato uno dei temi più discussi in queste settimane. È naturale allora chiedersi: come guardano le opinioni pubbliche locali a questa partecipazione militare?

Dai commenti emerge tutta la complessità dello scenario di oggi e la poca chiarezza sulle prospettive a lungo termine per la regione. Emblematico l’editoriale di The National, quotidiano pubblicato negli Emirati Arabi Uniti: «È solo il primo passo di una battaglia molto lunga», recita il titolo dell’articolo. E il testo – con molto realismo – è preoccupato di porre subito la questione della distinzione tra i miliziani dell’Isis e la popolazione civile della Siria che vive nelle aree da loro controllate: «Non va nascosta la serietà dell’impresa e delle sue conseguenze – osserva il giornale -. Ci saranno vittime tra la popolazione civile siriana; una conseguenza quasi inevitabile dal momento che l’Isis opera in aree abitate da civili. È importante provare tanta solidarietà con quanti si troveranno nel mezzo di questa guerra quanta repulsione per quanti l’hanno provocata». Il tutto per concludere che la vera battaglia non si vince con i raid, ma con la politica. Salvo però restare molto vago su che cosa in concreto questo voglia dire.

In qualche modo complementare la scelta del quotidiano saudita Arab News, che con uno dei suoi commentatori pone con una chiarezza mai vista fino ad ora la questione del «fronte interno», cioè di quegli appoggi su cui l’Isis può contare dentro la società saudita. Abdel Aziz Aluwaisheg cita persino il dato secondo cui quasi i due terzi degli attentatori suicidi utilizzati dal movimento jihadista sono sauditi; e dice che utilizzano proprio i sauditi perché sono una riserva di miliziani fortemente ideologizzati ma militarmente poco preparati (e dunque inutili per altri scopi). Il che forse dovrebbe suscitare qualche domanda sul perché le cose stiano così. Ma il fatto stesso che finalmente se ne parli dice quanto la monarchia degli al Saud oggi senta il fiato sul collo dell’Isis.

Entrambe queste riflessioni, però, restano sul vago sul grande punto di domanda che sta dietro alla coalizione che Barack Obama ha messo insieme per combattere l’Isis. E cioè: verso quale obiettivo a lungo termine? Quale soluzione allo scontro a tutto campo per il controllo del Medio Oriente nel cui alveo l’Isis è cresciuto ritagliandosi uno spazio proprio? Varrebbe la pena di ricordare – ad esempio – che tra gli alleati di questa nuova ampia coalizione ci sono Paesi che in questi anni hanno giocato partite tra loro molto diverse nella regione; Arabia Saudita e Qatar fino a ieri erano ai ferri corti e la stessa Giordania, pure in queste ore, si trova a fare i conti con il fuoco di fila dei Fratelli musulmani che dicono che la guerra contro l’Isis «non è la nostra guerra». Per questo diventa interessante segnalare anche il titolo dell’editoriale del quotidiano libanese The Daily Star, che parla di una «coalizione silenziosa». «Ci sono piani per inviare in Siria truppe di terra di alcuni di questi Paesi? Esiste un’idea su che tipo di “successo” si immagina per un’operazione di questo genere?». Domande ad oggi senza risposta che, non a caso, vengono allo scoperto proprio in un Paese come il Libano, ancora una volta cartina di tornasole di tante contraddizioni del Medio Oriente.

Clicca qui per leggere l’editoriale di The National

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Clicca qui per leggere l’editoriale di The Daily Star

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