La porta di Jaffa
Riscattare Mohammed
La vicenda di Mohammed al Durra, il bambino palestinese rimasto ucciso nel 2000 durante un conflitto a fuoco tra esercito israeliano e miliziani palestinesi, continua a far discutere. Con un articolo del Jerusalem Post che ci offre oggi un altro colpo d'occhio interessante per cogliere che cosa sia diventato ormai questo conflitto. Perché la sequenza ripresa dalle telecamere di France2 col dodicenne Mohammed al Durra che cerca riparo dietro a suo padre e poi, colpito da un proiettile, alla fine resta immobile, è divenuta fin da subito un simbolo mediatico potente.
Il Ramadan in tivù
Inizia il mese di Ramadan. Periodo che forse oggi varrebbe la pena di imparare a conoscere andando un po' oltre lo stereotipo del musulmano che di giorno non mangia e alla sera si ritrova a fare festa in famiglia. Una prospettiva interessante ce la offre oggi un articolo pubblicato sul quotidiano saudita Arab News. Che si concentra sul Ramadan inteso come stagione televisiva. Perché - spiega Abeer Mishkhas - il mese sacro è una vera e propria stagione a sé per il piccolo schermo nei Paesi musulmani.
L’appello di Burg
Torna a parlare Avraham Burg, una delle coscienze critiche di Israele. Già il suo recente libro Defeating Hitler e la lunga intervista rilasciata ad Ari Shavit su Haaretz - con l'invito agli ebrei «a uscire dal ghetto sionista» - avevano fatto molto discutere qualche mese fa. Ora Burg lancia un'altra tesi forte: «Cari ebrei - dice - il nostro compito storico oggi è aiutare l'Occidente a non comportarsi con i musulmani come già si è comportato con noi in passato».
Israele vacilla negli Usa
Toni allarmati questa mattina su tutti i quotidiani israeliani per un sondaggio proveniente dagli Stati Uniti secondo cui è in drastico calo tra i giovani ebrei americani il sostegno a Israele. Come spiega l'articolo di Yedioth Ahronot che rilanciamo, negli Stati Uniti solo il 54 per cento degli ebrei non ortodossi con meno di 35 anni si dichiara a proprio agio rispetto all'idea di uno Stato ebraico. E, addirittura, solo il 48 per cento ritiene che la distruzione di Israele sarebbe una tragedia personale.
Il Cairo e Gaza
Sui rapporti tra Hamas e Israele parlano i bollettini, quotidiani ormai, dei missili Qassam caduti a Sderot e dei bombardamenti aerei israeliani sui luoghi da dove partono. Sui rapporti tra Hamas e Abu Mazen parlano, invece, le scelte del presidente dell'Anp, sempre più deciso a isolare il movimento islamico. Quali sono, invece, i rapporti tra Hamas e l'Egitto? È la domanda affrontata nell'articolo che proponiamo oggi, tratto dall'ultimo numero della newsletter Bitterlemons-International.
L’anno sabbatico
Arriva l'anno sabbatico e in Israele si ripropone - da una prospettiva del tutto particolare - la questione del rapporto tra religiosi e secolari. Col tramonto del 12 settembre scatterà, infatti, Rosh Hashana, il capodanno ebraico, che segnerà l'inizio dell'anno 5768. Quello che inizia, però, è un anno sabbatico, cioè l'anno ogni sette in cui, secondo le prescrizioni del libro del Levitico, i campi dovrebbero essere lasciati a riposo. Una pratica di difficile applicazione di cui il quotidiano Haaretz spiega alcuni risvolti in due articoli che vi sintetizziamo.
Stop al vittimismo
«È ora di mettere da parte le teorie del complotto e di assumere le proprie responsabilità». Ha titolato così sabato il suo editoriale The Daily Star, uno dei più importanti quotidiani libanesi. Parole forti in cui si sente tutta l'eco della complicata situazione che Beirut sta vivendo ormai da troppo tempo. Ma il pregio di questo articolo - che riproponiamo oggi sulla Porta di Jaffa - è anche quello di riuscire ad allargare bene il discorso a un'intera regione che finisce sempre per addossare ogni colpa «ai francesi, agli americani, agli israeliani e agli inglesi di turno».
Gli ebrei e il genocidio armeno
Un ebreo può essere connivente di fronte a un negazionismo? La domanda - volutamente provocatoria - ha accompagnato in questi anni il dibattito sull'atteggiamento del mondo ebraico nei confronti del genocidio degli armeni. Anche una buona parte del mondo ebraico e il governo di Israele - infatti - evitano di utilizzare la parola genocidio per descrivere i fatti avvenuti in Turchia all'inizio del XX secolo. La questione è riesplosa in questi giorni in maniera caldissima nella comunità ebraica di New York, come racconta bene un articolo pubblicato da Shmuel Rosner su Haaretz.
Il gas di Gaza
Negli ultimi mesi, la situazione di Gaza è stata descritta in tutta la sua tragicità, con la fame, la miseria e il caos. Ma 36 chilometri al largo della costa il panorama può apparire decisamente diverso. Perché qui si trova un ricchissimo giacimento di gas naturale ancora tutto da sfruttare, e da sette anni al centro di una complicatissima vicenda, a metà tra politica e affari. A raccontare questa storia è il lungo articolo del Jerusalem Post che vi segnaliamo oggi.
Il fattore G
C'è un dato di fatto che colpisce immediatamente chi mette piede in Israele e nei Territori palestinesi: si tratta di due società con tanti giovani. Per il campo palestinese, come per tutte le società arabe, è un dato risaputo. Ma non va dimenticato che anche in Israele l'età media è di parecchio più bassa rispetto a quella di un qualsiasi Paese occidentale. Come incide - allora - il fattore giovani nell'evoluzione del conflitto israelo-palestinese? È la domanda niente affatto banale che si pone questa settimana la newsletter bitterlemons.org