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Armarsi in Israele, un diritto o un dovere civico?

Antoine Cothier
5 novembre 2024
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Armarsi in Israele, un diritto o un dovere civico?
Sempre più (civili) israeliani circolano armati. (foto Yonatan Sindel/Flash90)

In Israele il porto d'armi è strettamente controllato dallo Stato, ma è incoraggiato dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023. Il clima di insicurezza spinge sempre più civili ad armarsi, seguendo le istruzioni del governo.


Quando i pellegrini e turisti stranieri arrivano in Terra Santa, notano che molte persone in abiti civili portano alla cintura pistole automatiche, o addirittura fucili d’assalto a tracolla. Come fa – si chiedono – una giovane madre che sta accompagnando il suo bambino all’asilo a portare con sé un’arma da guerra?

In Israele, i civili possono ottenere principalmente pistole, mentre le armi a canna lunga, come i fucili d’assalto, sono riservate ai militari e alle professioni con autorizzazioni specifiche.

Una facoltà rigidamente regolamentata

Il gestore di un negozio privato di armi e di un poligono di tiro spiega: «Questo è l’unico Paese al mondo in cui è così. È a causa della situazione politica. Se fossimo al sicuro, lo Stato si riprenderebbe le nostre armi e a noi non dispiacerebbe». La sua risposta implica che, a differenza degli Stati Uniti, portare armi in Israele non è un diritto indiscusso, ma una facoltà autorizzata dallo Stato, che esercita un rigido controllo sul loro possesso e sulla loro circolazione. Per ottenere un permesso, è necessario avere 21 anni, essere cittadini israeliani e aver completato almeno una parte del servizio militare (un anno in un’unità di combattimento o due anni di servizio per un uomo; un anno di servizio per una donna). Possono essere concesse eccezioni, caso per caso, per i civili che vivono in «aree pericolose». Chi richiede il porto d’armi deve inoltre fornire, oltre a un documento di identità, un certificato di lavoro o di studio, una fedina penale pulita e un certificato medico che attesti la propria idoneità fisica e mentale. Un funzionario del ministero della Sicurezza nazionale vaglia l’idoneità di ciascun richiedente.

Se l’istanza viene approvata, il cittadino riceve una licenza e si reca in un’armeria privata dove segue un corso di formazione sulle norme di sicurezza e sul comportamento da tenere con una pistola. L’iter formativo è simile a quella di una scuola guida, spiega l’armiere: «C’è un manuale disponibile online con tutte le direttive statali. Chiediamo ai candidati di prepararsi, li addestriamo secondo questi standard e poi li sottoponiamo a dei test. Se li superano, possono acquistare una pistola». Per legge, un cittadino israeliano può possedere una sola arma, corredata di 50 munizioni. Un’eventuale vendita deve essere dichiarata alle autorità competenti. Le munizioni sono registrate dallo Stato. Possono esserne acquistate di nuove solo dopo aver esaurito la scorta sparando in un poligono controllato o restituendo le vecchie a un negozio di armi. Il porto illegale di armi comporta una pena da uno a due anni di reclusione.

«Più sicuri con un’arma al fianco»

Ogni vendita di un’arma richiede una quantità di documenti. Nell’armeria, decine di uomini di tutte le età si affannano con pile di scartoffie per le impiegate oberate di lavoro. Su alcuni schermi passano spot pubblicitari con attrici che nascondono piccole pistole nei jeans. In una stanza adiacente, un istruttore con un berretto con la bandiera israeliana tiene un corso a un gruppo di giovani con in mano armi finte. Ci dice: «Mi fido di coloro che hanno fatto il servizio militare. Raramente vengono bocciati agli esami. Sono quelli che non hanno mai indossato la divisa a preoccuparmi».

Interrogati sulle loro sensazioni nelle strade della città vecchia di Gerusalemme, i cittadini israeliani affermano di sentirsi più sicuri sapendo che i civili sono armati. L’argomento è ricorrente: quando si verifica un attacco terroristico, di solito sono i civili a sparare all’assalitore. Gli attacchi solitari, messi a segno con coltelli, armi da fuoco o auto lanciate contro i pedoni sono aumentati negli ultimi anni. Il 27 ottobre scorso, un camion è piombato sulla folla a Glilot (sobborgo settentrionale di Tel Aviv), uccidendo una persona e ferendone trentadue. L’uomo al volante è stato ucciso da civili armati.

Drastico incremento delle richieste

Secondo il quotidiano The Times of Israel, dopo i massacri del 7 ottobre 2023, il numero di richieste di permessi per il porto d’armi è esploso: 260mila domande sono state presentate al ministero dell’Interno, con 3.000 istanze trattate ogni giorno, rispetto ai 100 precedenti. Di queste richieste, 42mila sono di donne (18mila sono già state accolte). D’altronde è lo stesso ministro per la Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, ad incoraggiare i civili israeliani ad armarsi. Nel marzo scorso, il ministro si è congratulato per il superamento di quota 100mila civili armati dal 7 ottobre 2023. Ha criticato la sinistra israeliana, che sostiene le restrizioni, per essersi opposta a una politica che «salva le vite». Dopo l’attacco a Glilot, ha dichiarato: «La mia politica di armare i civili sta dimostrando il suo valore. La polizia e i civili stanno neutralizzando i terroristi». Oltre ad aver abbassato l’età minima per il rilascio delle licenze a 21 anni, Ben-Gvir ha distribuito 10mila armi a gruppi di «sicurezza civile» in aree vicine a Gaza, in Cisgiordania e in città con grandi popolazioni arabe. Tuttavia, i rischi legati all’armare la popolazione civile non mancano. Emblematico l’incidente del 30 novembre 2023 quando un civile, Yuval Castleman, che con la sua arma aveva neutralizzato uno dei due autori di un attacco terroristico alla fermata di un autobus a Gerusalemme, venne ucciso da un soldato della riserva sopraggiunto, Aviad Frija, che l’aveva scambiato per uno degli assalitori benché l’uomo si fosse qualificato e avesse urlato di non fare fuoco.

Il porto d’armi per i civili è limitato essenzialmente alle pistole. Esistono eccezioni per altre categorie di armi a canna lunga, ma sono principalmente giustificate da motivi professionali e trattate caso per caso. Agricoltori, guide turistiche, cacciatori e membri di compagnie di sicurezza civile possono ottenere permessi per i fucili d’assalto. Tuttavia, la maggior parte degli israeliani che portano queste armi lunghe in abiti civili per strada sono soldati in servizio o riservisti. L’arma non appartiene a loro, ma è fornita dall’esercito.

Come sottolinea il quotidiano The Times of Israel in un articolo che mette a confronto la legislazione americana e quella israeliana sul porto d’armi, la popolazione israeliana non considera il porto d’armi un diritto e preferirebbe lasciare il monopolio della violenza allo Stato.


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