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«Nella Striscia c’è voglia di vivere»

Elisa Pinna
19 agosto 2019
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«Nella Striscia c’è voglia di vivere»
Bambini di Um Al Nasser nel centro costruito per loro dalla ong Vento di terra e distrutto nel 2014 durante la guerra (foto www.ventoditerra.org)

La presidente della ong Vento di terra, attiva nella Striscia di Gaza, racconta le enormi difficoltà della vita in un villaggio vicino alla barriera, ma anche il forte spirito di resistenza di una popolazione giovane.


Una vitalità incontenibile che sfida la miseria, l’oppressione, il ronzio continuo e minaccioso dei droni israeliani, gli improvvisi bombardamenti e le sofferenze estreme di un’esistenza «in trappola»: «A Gaza, ogni matrimonio, ogni nascita è occasione di festa, di gioia collettiva. E di bambini ne continuano a nascere tanti, come se il domani riservasse un futuro di speranza», ci riferisce Barbara Archetti, presidente della ong Vento di Terra, di ritorno da un viaggio di lavoro nella Striscia. «Mancavo da Gaza da qualche tempo e ciò che mi ha colpito è l’attaccamento alla vita e lo spirito di resistenza della popolazione».

Vento di Terra è presente, con i suoi progetti di cooperazione e di aiuto in diversi punti della Striscia, tra cui il villaggio beduino di Um Al Nasser, uno dei luoghi più vulnerabili e disastrati di Gaza. Il villaggio, con una popolazione di 5 mila persone di cui il 60 per cento bambini, si trova infatti a poca distanza dal valico di Erez, sull’orlo di quella No-go zone imposta da Israele al suo confine, dove non si possono avventurare né esseri umani né capre o altri animali, pena essere colpiti dai proiettili dei soldati dello Stato ebraico. Per di più è circondato dai bacini di raccolta delle acque nere provenienti da tutto il nord di Gaza, a cui si sono aggiunti, negli ultimi tempi, una discarica e i campi di addestramento di Hamas e di altre milizie islamiche, che prima si trovavano nel centro della Striscia. Un luogo ad alta tensione e malsano, dove denutrizione e malnutrizione sono diffuse, l’80 per cento della popolazione è disoccupata e dove i traumi e le macerie lasciati dalla guerra israeliana contro Hamas nel 2014 sono ancora ferite aperte. «Eppure, proprio a Um Al Nasser – racconta Archetti – ho partecipato a feste per nozze e l’arrivo di nuovi bambini, incontrato donne piene di voglia di vivere, di lavorare, persone sempre puntuali agli appuntamenti o agli impegni presi».

Convivere con i droni

Grazie a fondi dei Paesi arabi del Golfo, nell’ultimo anno e mezzo – riferisce la presidente della ong – la ricostruzione seguita al conflitto del 2014 nella Striscia sembra essersi finalmente avviata: anche nel villaggio beduino sono state edificate quattro nuove palazzine per 700 persone, anche se i più rimangono in tende o abitazioni precarie. Il disimpegno dell’America di Trump dai fondi e dagli aiuti internazionali ai palestinesi si fa sentire. Mancano i servizi essenziali, le persone non possono accedere a cure e medicine, la maggioranza della popolazione vive sotto la soglia della povertà. I droni israeliani non smettono poi un secondo di sorvolare la Striscia, il ronzio è costante di giorno e di notte: sono una presenza ossessiva che condiziona la vita quotidiana. «La gente è sempre nervosa, con le orecchie tese, perché quando il rumore si avvicina troppo, c’è il rischio di un bombardamento e ogni discorso è interrotto», spiega Archetti. I cosiddetti «attacchi mirati» israeliani continuano, nel silenzio totale dei media. Colpiscono zone finora rimaste indenni, come alcuni quartieri della città di Gaza, e seminano panico per la loro imprevedibilità, come spiega la presidente di Vento di Terra.

In tanto dolore, stupisce la forza di resistenza degli abitanti di Gaza. Nessuno ne parla più, ma le «Marce del ritorno», al confine con Israele, continuano ogni venerdì e vi partecipano migliaia di persone, nonostante la repressione brutale da parte dell’esercito di Israele. «Non sono un’iniziativa di Hamas – ci spiega Archetti, quanto piuttosto manifestazioni della rabbia popolare. Alla gente non rimane altro che protestare e lo fa con forza e determinazione. Ci vanno famiglie e bambini». Ogni volta rimangono sul terreno una cinquantina di feriti. In quella di venerdì 26 luglio erano state 53. Nel venerdì precedente 60. I soldati israeliani mirano in genere alle gambe e alle braccia dei dimostranti. Non solo per evitare morti che riaccenderebbero (forse) l’attenzione su ciò che accade a Gaza. «Sanno bene – secondo la presidente della ong – quanto sarà dura la vita di persone disabili nella Striscia e difficile per le famiglie e la società prendersi cura di loro».

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