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Il jihadista hippie

di Elisa Ferrero
19 agosto 2014
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La storia del giovane Islam Yakan ha sbigottito molte persone in Egitto. Il ragazzo è diventato famoso un paio di settimane fa, quando giornali e social media hanno diffuso una fotografia, nella quale lui era ritratto a dorso di cavallo, barba lunga, scimitarra in mano e fucile alla cintola, combattente per lo Stato islamico della Siria e del Levante (Isil). Ciò che ha davvero sconvolto è l’incongruenza fra la vita del ragazzo prima e dopo la svolta jihadista...


La storia del giovane Islam Yakan ha sbigottito molte persone in Egitto, soprattutto amici e conoscenti. Il ragazzo è diventato famoso un paio di settimane fa, quando giornali e social media hanno diffuso una fotografia, nella quale lui era ritratto a dorso di cavallo, barba lunga, scimitarra in mano e fucile alla cintola, combattente per lo Stato islamico della Siria e del Levante (Isil). Ciò che ha davvero sconvolto, tuttavia, è stata l’apparente incongruenza fra la vita del ragazzo prima e dopo la svolta jihadista.

Islam Yakan, infatti, non proviene dalla miserabile periferia di una metropoli egiziana, né da una sperduta e negletta zona rurale controllata da islamisti. Islam è un bel ragazzo che appartiene a un’agiata famiglia residente nel lussuoso quartiere di Heliopolis al Cairo. Ha frequentato il Liceo francese al-Hurriyya, parla inglese e francese, e nel 2013 ha conseguito la laurea in giurisprudenza presso l’Università Ayn Shams. Benestante e acculturato, dunque. Non solo, amava la musica rap, house e trance, ed era anche un appassionato di fitness. Le foto pubblicate su VK (social network russo) lo mostrano come il tipico «palestrato». Teneva persino un programma su internet, con una serie di video che suggerivano modi per perdere peso e acquisire massa muscolare. Insomma, un ragazzo piuttosto comune della classe medio-alta egiziana: moderno, occidentalizzato e con tutti i mezzi per una vita dignitosa.

Poi, a un certo punto, Islam scompare. Tempo dopo, ricompare su Twitter con le sembianze del combattente dell’Isil, trasfigurato. Dice di vivere a Raqqa, in Siria. Pubblica alcune foto raccapriccianti con delle teste mozzate, forse per sua stessa mano, affermando che Dio l’ha guidato sulla retta via. Racconta di aver chiesto a sua madre di raggiungerlo nell’appartamento che si è preso in Siria. All’obiezione della madre che i legittimi proprietari potrebbero tornare, lui replica che non c’è pericolo, sono tutti morti. E dalla Siria, inneggia al nuovo Califfato e alla futura conquista dell’Egitto.

Com’è potuto finire un giovane come Islam fra le fila dell’Isil? E soprattutto, perché? Un amico, Amr Medhat, racconta il percorso d’indottrinamento, iniziato tre anni fa, che ha condiviso con il giovane per un certo periodo. Tutto comincia con alcune lezioni di lettura del Corano in una delle tante moschee del Cairo. I due giovani, però, sono capitati male, le lezioni sono «veleno rivestito di miele». Dapprincipio, instillano loro il senso di colpa per la vita che conducono, il rimpianto per un virtuoso mondo del passato e soprattutto la «rabbia per ogni cosa». Poi, gradualmente e subdolamente, portano i due giovani a sentirsi separati da un mondo che non vuole né il loro bene né quello dell’Islam. Prende forma l’idea del «noi» e «gli altri», i nemici della religione, dai quali bisogna allontanarsi, siano essi amici o parenti. Infine, le lezioni passano a coltivare il mito del «musulmano forte», della disciplina fisica (tema caro a un patito della palestra come Islam) e comincia l’addestramento alla battaglia in preparazione del jihad. Il passo successivo è quasi naturale: imparare a uccidere con facilità e animo sereno. Non per Amr, però, che non ha seguito l’amico nelle fila dell’Isil e oggi racconta la propria esperienza con orrore.

La domanda, pertanto, rimane: perché un giovane come Islam è diventato un assassino al soldo dell’Isil, guadagnandosi il soprannome di jihadista hippie che ha il sapore dell’ossimoro? Perché l’indottrinamento ha avuto successo con Islam, ma non con Amr? In Egitto si è provato a dare tante risposte. Miseria e disperazione, evidentemente, non c’entrano in questo caso. Desiderio di notorietà, allora? Noia di vivere? Vuoto esistenziale tipico di una modernità globalizzata? Oppure, come qualcuno ha pensato, la storia di Islam è semplicemente un falso?

Nessuna risposta pare del tutto convincente, ma certo la vicenda di Islam ricorda quelle di molti giovani occidentali, «moderni», istruiti e non poveri, proprio come lui, che negli ultimi anni sono affluiti nei vari gruppi islamisti combattenti in Siria, e sulle quali c’è da riflettere.

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