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Con Durban II alle spalle

25/04/2009  |  Milano
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Con Durban II alle spalle
Giovani musiciste della disciolta orchestra di Jenin.

È andata purtroppo come ci si aspettava: a Ginevra la Conferenza Onu sul razzismo - la cosiddetta Durban II - è stata il trionfo dell'ideologia. Ci sono state le affermazioni di Ahmadinejad. C'è stato il boicottaggio. Ma non c'è stata un'azione concreta che abbia preso di mira sul serio uno specifico comportamento intollerante o xenofobo in Medio Oriente. Tanti slogan su «occupazione» o «antisemitismo», a seconda dei punti di vista. Ma non cambiano di un millimetro le situazioni ingiuste. Per fortuna proprio dal cuore di questo conflitto arriva la notizia di due iniziative che vanno in direzione opposta.


È andata purtroppo come ci si aspettava: a Ginevra la Conferenza Onu sul razzismo – la cosiddetta Durban II – è stata il trionfo dell’ideologia. Ci sono state le affermazioni di Ahmadinejad. C’è stato il boicottaggio. Ma non c’è stata un’azione concreta che abbia preso di mira sul serio uno specifico comportamento intollerante o xenofobo in Medio Oriente. Tanti slogan su «occupazione» o «antisemitismo», a seconda dei punti di vista. Parole di quelle che galvanizzano i propri fan. Ma non cambiano di un millimetro le situazione ingiuste. Per fortuna che proprio dal cuore di questo conflitto – alla vigilia di una giornata tradizionalmente calda come lo Yom Ha’atzmaut, l’anniversario dell’indipendenza di Israele, che quest’anno cade il 29 aprile – arriva la notizia di due iniziative che vanno in direzione opposta.

Prima, però, di parlarne, permettetemi di lanciare una piccola proposta a tutti quelli che in Italia in questi giorni hanno dato fiato alle trombe della solita retorica su Israele-l’Iran-l’occupazione- l’antisemitismo-Hitler-la Shoah-l’Onu-la vergogna e via dicendo. La xenofobia è un problema serio in Medio Oriente: solo chi chiude volontariamente gli occhi può ritenere che si concentri solo in Israele o solo in Palestina. Possiamo – per una volta – guardare a questo fenomeno per quello che è e non farne uno strumento per attaccare l’altro? Abbiamo tutti il coraggio di condannare due atti di segno opposto che – a mio parere – sono entrambi indice di una spaventosa chiusura di fronte ai sentimenti dell’altro? L’esempio ce lo offrono due articoli usciti in questi giorni. Su Common Ground si riprende la vicenda dell’orchestra dei ragazzi palestinesi di Jenin, diretta da un israeliano, che aveva suonato in un concerto commemorativo per le vittime della Shoah. Su pressione di alcune fazioni palestinesi è stata fatta chiudere perché era diventata «uno strumento per la normalizzazione». Qui non c’è motivazione politica che tenga: questo è un atto grave di xenofobia, che non si può accettare come una fatalità del conflitto. Però – speculare e sempre di questi giorni – c’è anche un’altra notizia: quella su Itamar Shapira, una guida dello Yad Vashem – il museo dell’Olocausto – che a un gruppo di visitatori ha ricordato che andando via sarebbero passati vicino al quartiere di Givat Shaul. Cioè quello che sorge proprio dove c’era Deir Yassin, il luogo del più cruento massacro compiuto da forze militari ebraica ai danni degli arabi nella primavera del 1948. Un modo per ricordare che esiste anche la tragedia dell’altro, a partire da una pagina nera di storia ampiamente documentata da tanti storici israeliani. Per questa frase Itamar Shapira è stato licenziato dallo Yad Vashem. Io credo che anche questo sia un atto causato da chiusura verso le ragioni dell’altro.

Ma veniamo ai due modi coraggiosi di celebrare Yom Ha’atzmaut di cui parlavo all’inizio. Lunedì 27 in un teatro di Tel Aviv si tiene «Ricordare le vittime, combattere per la pace», la manifestazione promossa da Combatants for Peace, l’associazione che vede insieme sia israeliani sia palestinesi che hanno materialmente combattuto l’uno contro l’altro e ora invece hanno deciso di impegnarsi per la pace e la giustizia a favore di tutti, perché «la guerra non è un destino predeterminato». Martedì 28 e mercoledì 29 – invece – sul Monte Carmelo si tiene l’Independence Day-Nakba Day Event, un evento in cui dal 2003 arabi e israeliani si ritrovano insieme nel giorno che in teoria più dovrebbe dividerli. Per provare a gettare concretamente ponti di riconciliazione. E capire che la vera «liberazione» – per gli uni come per gli altri – è quella dall’odio nei confronti del nemico.

Ancora una volta: non è di tifosi, ma di gente capaci di mettersi nei panni dell’altro che hanno bisogno Israele e la Palestina. Gente come i ragazzi dell’Orchestra di Jenin e Itamar Shapira.

Clicca qui per leggere l’articolo sull’orchestra di Jenin
Clicca qui per leggere l’articolo sulla guida licenziata allo Yad Vashem
Clicca qui per leggere l’invito alla manifestazione di Combatants for Peace
Clicca qui per leggere l’articolo di Common Ground

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Francesco D'Assisi

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