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«Siate più espliciti nel difendere i palestinesi»

13/03/2008  |  Milano
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Un lettore scrive a padre David M. Jaeger a margine dei suoi interventi su Terrasanta.net e sul bimestrale Terrasanta. Chiede che la Chiesa sia più esplicita nel denunciare il modo in cui Israele tratta i palestinesi, per non macchiarsi di «un'omissione più che di un atto di prudenza». «Certe omissioni sono colpe che poi si pagano, in un modo o in un altro», chiosa il lettore. La risposta di Jaeger.


Un lettore scrive a padre David M. Jaeger a margine dei suoi interventi su Terrasanta.net e sul bimestrale Terrasanta.

Caro Padre Jaeger, lei in Cristo non è più giudeo, né greco, ma solo un cristiano come noi, perseguitati, emarginati, impauriti, ieri come oggi, mentre il popolo dalla cui elezione carnale lei si è affrancato (padre Jaeger è di stirpe ebraica – ndr), è quello che, almeno in Israele, ma non solo, perseguita, emargina, impaurisce.

Capisco che certe trattative impongano prudenza e massima diplomazia, che io condivido, ma forse il «popolo eletto», almeno in Israele, ha superato quel limite umanamente accettabile per cui non far sentire la nostra voce e denunciarne le atrocità rappresenta a tutti gli effetti un’omissione più che un atto di prudenza. E certe omissioni sono colpe che poi si pagano, in un modo o in un altro. Se non potete voi come francescani e custodi dei luoghi sacri e delle pietre vive, pressate perché almeno qualche altro prelato di qualche altro ordine gerarchico intervenga a far sentire la sua voce chiara e forte. E il vostro parlare sia Sì-Sì. No-No.

Io come cattolico, ultimo tra gli ultimi, non posso accettare di veder sterminare i miei fratelli palestinesi, cristiani e musulmani, senza far nulla. Voi o chi per voi dovete fare sentire la voce della Chiesa cattolica più forte e chiara.
Perdoni il mio sfogo, non sono critiche che io rivolgo direttamente a lei, ma lei sicuramente sarà più bravo di me nel farle arrivare dove è necessario. Non siamo pochi noi cattolici che auspichiamo posizioni più ferme e coraggiose.
È solo la nostra viltà e timore nel dire tutta la verità che rende forte il mistero d’iniquità, il mentitore ed omicida sin dall’inizio.

In Cristo,

Filippo Fortunato Pilato


Risponde padre Jaeger
:

1. Un cristiano non cessa di essere membro del suo popolo, italiano, spagnolo, giapponese, ebreo ecc. Gli ebrei formano un popolo, come gli altri. Un ebreo credente in Cristo, battezzato e membro della Chiesa è pur sempre un membro del popolo ebraico, specie se in Israele. Nel 1963 i capi, i pastori, di tutte le Chiese e Comunità cristiane in Israele, cattoliche, ortodosse, protestanti, hanno dichiarato pubblicamente: «Noi riteniamo l’ebreo convertitosi al cristianesimo sempre membro del suo popolo».

2. La realtà conflittuale in Terra Santa, che tanto rattrista gli animi e i cuori, è troppo complessa per poterla dipingere come un semplice combattimento tra buoni e cattivi (e ce ne sono degli uni e degli altri, certo). I Pastori delle Chiese cristiane non hanno mancato comunque di far sentire la loro voce, a più riprese, a riprova dei mali commessi nel corso del conflitto tuttora in atto, chiamando tutti al rispetto della vita e della dignità altrui. Le dichiarazioni a tutti i livelli, localmente, come anche da parte della Suprema Autorità della Chiesa cattolica, sono state chiare e non del tutto infrequenti.

3. La testimonianza specifica dei frati francescani, a mio avviso, è proprio questa, che Cristo è la nostra Pace, che è in lui che viene abbattuto il muro dell’inimicizia, che è in Cristo, nel credere in Lui, nell’essere battezzati e compresi nella Sua Chiesa, che gli uomini trovano la Pace. Questo viene testimoniato molto concretamente dalla nostra fraternità, che comprende indistintamente ebrei e arabi, americani ed iracheni, neri e bianchi… non è rinnegando le nostre appartenenze umane, nazionali, ma relativizzandole sanamente, riconoscendo un Unico Assoluto, che rendiamo questa testimonianza, che credo valga più di tutte le esternazioni possibili.

4. Anche nel criticare violenze ed ingiustizie, proprio un senso di giustizia impone la misura, e gli eventi in Terra Santa, pur tristi e preoccupanti, non consentono di parlare di «sterminio di cristiani e musulmani» da parte di chicchessia. Una testimonianza che si lasciasse andare in retorica eccessiva del genere finirebbe per screditarsi. E nel lamentare le vite perdute non si possono ignorare quelle ebraiche, come se valessero meno di quelle di «cristiani e musulmani». Davanti ai nostri occhi si sta svolgendo una tragedia che tocca tutti, e schierandosi con gli uni ad esclusione degli altri non si aiuta certo a risolverla.

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