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Ritorno a Maaloula

Fulvio Scaglione
18 giugno 2018
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Il piccolo villaggio siriano di Maaloula, non è più come nel 2013, quando vi si annidarono i terroristi di Jabat al-Nusra. L'unico luogo al mondo in cui si parli ancora il dialetto di Gesù rinasce, con qualche incognita.


Arrivare ai 1.500 metri di Maaloula, e alle rocce che sembrano doverla travolgere da un secondo all’altro, è ancora un’impresa. Certo, non siamo più al 2013, quando i terroristi di Jabat al-Nusra si insediarono nel piccolo villaggio siriano e, prima di esserne cacciati dopo quasi un anno dall’esercito siriano, uccisero 200 persone e devastarono le chiese e i monasteri. Però occorrono lettere di presentazione, qualche raccomandazione, alcune piccole mance nei punti giusti e tanta calma per superare i posti di blocco, su questa direttrice ancora numerosi e attenti. Al punto che proprio su questa strada un soldato ha lasciato andare una raffica di kalashnikov in aria per bloccare un automobilista che faceva il furbo e tirava dritto.

Però ne vale la pena. Maaloula è un miracolo vivente. È l’unico villaggio, insieme ad altri due più piccoli e non lontani, in cui si parla il dialetto occidentale della lingua aramaica, il dialetto di Gesù. È un centro cristiano antichissimo, da sempre abituato a fare i conti con una presenza “diversa” sempre maggioritaria e spesso ostile. Era così nei primi secoli dopo Cristo, lo testimoniano le grotte, tuttora accessibili, che punteggiano le montagne, in quei tempi lontani usate come rifugio dalle persecuzioni. Ed è stato così anche negli ultimissimi anni.

In quelle grotte si sono rifugiati di nuovo i cristiani nel 2013, quando i terroristi di Al Nusra, appostati sulla cima della montagna, bersagliavano il villaggio con i colpi dei loro cecchini. Attestati sulle cime per quasi un anno prima di essere cacciati dall’esercito siriano, i miliziani hanno ucciso a sangue freddo più di 200 abitanti del villaggio.

E qui è arrivato l’ennesimo miracolo di Maaloula, ora testimoniato dagli operai che si danno da fare intorno a Mar Taqla e Mar Sarkis, il monastero dedicato a Santa Tecla e quello, posto appunto sulla cima più alta, intitolato ai santi Sergio e Bacco. I miliziani li occuparono fin dai primi giorni e a Santa Tecla ancora si vedono le stanze con i muri imbrattati dagli slogan islamisti. Come sempre, nelle loro azioni si mescolavano odio religioso e puro interesse ladresco. Dalla chiesa di Sergio e Bacco, che risale al terzo secolo dopo Cristo, sono state asportate 26 preziose icone mentre gli arredi meno “commerciabili” sono stati distrutti sul posto. Evidente, negli sfregi e nei vandalismi contro i due monasteri, lo scopo di cancellare i segni della presenza cristiana. Furono persino appiccati alcuni incendi ma i monasteri hanno resistito, sono ancora qui. Dal Libano, per vie avventurose, è persino tornata la porta della chiesa di Mar Sarkis: un legno di cedro vecchio di duemila anni.

Fervono i lavori di restauro, si diceva. Ben più difficile, però, sarà restaurare gli spiriti e le relazioni tra le comunità. A Maaloula c’erano 500 famiglie greco-ortodosse, la metà è scappata il più lontano possibile. Torneranno? Regna il pessimismo. La guerra non è finita, la ripresa economica è lontana e queste zone non erano ricche nemmeno prima. Ma il segno più profondo, qui come altrove in Medio Oriente, l’ha lasciato lo scoprire che il tuo vicino di casa, l’uomo o la donna che salutavi ogni giorno da tanti anni, poteva essere il primo, in determinate condizioni, a rivoltarsi contro di te, a mostrarti un odio che non avresti immaginato. Chissà se basterà il tempo a sanare questa ferita…

 


 

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Babilonia è stata allo stesso tempo una delle più grandi capitali dell’antichità e, con le mura che ispirarono il racconto biblico della Torre di Babele, anche il simbolo del caos e del declino. Una straordinaria metafora del Medio Oriente di ieri e di oggi, in perenne oscillazione tra grandezza e caos, tra civiltà e barbarie, tra sviluppo e declino. Proveremo, qui, a raccontare questa complessità e a trovare, nel mare degli eventi, qualche traccia di ordine e continuità.

Fulvio Scaglione, nato nel 1957, giornalista professionista dal 1981, è stato dal 2000 al 2016 vice direttore di Famiglia Cristiana. Già corrispondente da Mosca, si è occupato in particolare della Russia post-sovietica e del Medio Oriente. Ha scritto i seguenti libri: Bye Bye Baghdad (Fratelli Frilli Editori, 2003), La Russia è tornata (Boroli Editore, 2005), I cristiani e il Medio Oriente (Edizioni San Paolo, 2008), Il patto con il diavolo (Rizzoli, 2016). Prova a raccontare la politica estera anche in un blog personale: www.fulvioscaglione.com

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