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I cristiani in Iran, una presenza plurisecolare

Giuseppe Caffulli
18 giugno 2025
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I cristiani in Iran, una presenza plurisecolare
La cattedrale armena di Vank. (foto G. Caffulli)

Su una popolazione di 90 milioni di abitanti, sono poche centinaia di migliaia i cittadini iraniani che professano il cristianesimo. La comunità armena è la più antica e numerosa. Il suo nucleo è nella città di Isfahan, nell'Iran centrale.


C’è la cattedrale di Vank, intitolata a San Salvatore, con i suoi preziosi affreschi. C’è la chiesa di Bedkhem (Betlemme) con 72 dipinti che raffigurano la vita di Cristo. E ancora la chiesa di San Nicola, che conserva una reliquia dell’antico vescovo di Myra, la chiesa dedicata al Battista, quella dedicata alla Vergine. Non poteva mancare la chiesa dedicata a san Gregorio l’Illuminatore, colui al quale si deve la conversione del popolo armeno al cristianesimo. Sono solo alcuni dei luoghi di culto cristiani (oltre una dozzina) che si trovano nel quartiere armeno di Isfahan, in Iran. Molti di essi risalgono al periodo della dinastia safavide, che regnò in Persia tra il XVI e il XVIII secolo. Queste chiese riflettono una fusione unica tra l’architettura armena e quella islamica persiana.

Gli armeni sono presenti nell’attuale Iran da millenni, interagendo prima con l’antico impero persiano e, successivamente, con i sovrani musulmani sciiti. Fu però all’inizio del XVII secolo che lo scià Abbas I, durante le guerre persiano-ottomane, trasferì oltre 300mila armeni dalla città di Julfa (oggi in Azerbaigian) alla sua capitale, Isfahan, fondando nel 1606 il quartiere di Now Jolfā (Nor Jugha in armeno). Riconoscendone le abilità commerciali e linguistiche, gli scià di Persia diedero agli armeni il monopolio del commercio della seta, principale fonte di reddito della corte persiana. In breve tempo, Now Jolfā divenne una città prospera, dove i cristiani vivevano in armonia con i musulmani. Contava oltre 24 chiese, scuole, case eleganti, orfanotrofi e ospizi. Nel 1636, gli armeni acquistarono un torchio da stampa. Molti dei libri prodotti in quel periodo sono ancora visibili nel bel museo accanto alla cattedrale di Vank.

I dipinti con scene evangeliche all’interno della cattedrale armena di Vank dedicata a San Salvatore. (foto G. Caffulli)

In questi giorni, mentre l’Iran e la stessa città di Isfahan sono bersaglio degli attacchi israeliani, val la pena ricordare la presenza – per quanto oggi meno numerosa rispetto al passato – di un’antica comunità cristiana. In Iran rimangono solo 150mila cristiani armeni (apostolici, cattolici ed evangelici), 30mila assiri, 24mila cattolici caldei e latini e una manciata di cristiani ortodossi.

Le diocesi cattoliche sono sei: quattro di rito caldeo (la cui sede patriarcale è a Baghdad, in Iraq), una armena (ad Isfahan appunto) e una latina, affidata nel 2021 al frate minore conventuale di nazionalità belga, mons. Dominique Joseph Mathieu. L’arcivescovo è stato creato cardinale da papa Francesco nel Concistoro del dicembre 2024 e ha così preso parte al Conclave del maggio scorso che ha condotto all’elezione di papa Leone XIV.

Alcune fonti indicano anche la presenza di una comunità sommersa, costituita da convertiti dall’islam, soprattutto appartenenti a Chiese evangeliche o pentecostali, che praticano la loro fede principalmente in ambienti domestici per sfuggire alle restrizioni imposte dal regime.

Durante la Rivoluzione iraniana e l’avvento al potere degli ayatollah nel 1979 molti armeni lasciarono il Paese e si rifugiarono altrove, costruendosi una nuova vita. Tuttavia, i cristiani apostolici armeni restano ancora oggi la più grande comunità non musulmana in Iran e continuano a professare la loro fede e ad avere un ruolo attivo nella società, con rappresentanza anche in parlamento. Un quarto di essi vive nell’area di Isfahan, di cui circa ottomila nello storico quartiere di Nuova Jolfa. Altri tremila cristiani armeni risiedono a Shahin-shahr, a circa 30 chilometri da Isfahan.

Le strade del quartiere, fino a qualche decennio fa affollate di venditori ambulanti che offrivano ogni tipo di mercanzie, oggi sono asfaltate e silenziose. Locali e ristoranti (dove si serve anche il vino) hanno sostituito i caffè tradizionali. Nonostante i cambiamenti imposti dalla modernità, Now Jolfā resta una comunità affascinante, sempre in fermento. Un tempo riservata agli armeni, oggi è un quartiere ambito anche dai musulmani, anche se molti negli anni si sono trasferiti a Teheran e altri ancora sono emigrati all’estero.

Uno dei volumi antichi esposti al museo armeno attiguo alla cattedrale di Vank. (foto G. Caffulli)

In Iran, cristiani, ebrei e zoroastriani furono ufficialmente riconosciuti come «minoranze religiose» nella Costituzione del 1906. Nel 1928 venne garantita loro rappresentanza parlamentare. Nel 1943 ottennero anche l’autonomia per gli aspetti del diritto civile che riguardano la famiglia: matrimoni, divorzi, testamenti e adozioni. La Repubblica islamica, di fatto, ha confermato queste prerogative, nel rispetto però delle leggi islamiche: controllo di programmi scolastici, divieto di consumare alcolici e giocare d’azzardo. In più le donne devono coprire i capelli e rinunciare ai cosmetici (in pubblico).

La maggior parte dei cristiani armeni dell’Iran fa parte di associazioni benefiche, culturali e sportive, fondamentali per trasmettere lo spirito cristiano e la cultura armena. Delle oltre 24 scuole armene che un tempo educavano i bambini della comunità, solo la metà ha oggi un preside armeno; le altre sono dirette da musulmani, segno dell’ingerenza dello Stato nell’educazione. Nella Repubblica islamica dell’Iran, specie lontano da contesti come quello di Now Jolfā, non è semplice per i cristiani (armeni e non solo) mantenere la propria identità in una società pervasivamente musulmana.


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