Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

La costante sfida della comprensione

fra Alberto J. Pari
29 marzo 2023
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Un piccolo episodio attinto dalla vita di tutti i giorni della scuola di musica della Custodia di Terra Santa a Gerusalemme ci ricorda quanto fragile e delicata sia la quotidianità in questa terra sul fronte della convivenza dei due popoli.


In Terra Santa stiamo assistendo ad un periodo di particolare disagio e instabilità. Vivendo qui da quasi 17 anni, ho assistito a turbolenze, disordini, cambi di governo, ma questa volta entrambe le fazioni sono in allarme: i palestinesi, sempre più minacciati da nuovi insediamenti e soprusi; gli israeliani, alle porte di una dittatura, con un governo che cerca di togliere potere anche all’unico organo che può limitare i danni, cioè la Corte Suprema.

Anche al Magnificat (la scuola di musica della Custodia di Terra Santa – ndr) come in un microcosmo protetto, assistiamo a volte ad eventi che ci turbano, al suo interno si rispecchiano gli umori e i malumori che si respirano nel Paese. La scorsa settimana uno studente è entrato nel complesso del convento dove si trova l’Istituto di musica con la sua chitarra in spalla, ma indossando una divisa militare. Si tratta di uno studente israeliano che lo scorso anno ha iniziato a frequentare il corso di chitarra classica presso la nostra scuola. Nel frattempo è arrivata la chiamata alle armi, obbligatoria per tutti cittadini israeliani dai 17 ai 19 anni, tre anni per i ragazzi e due anni per le ragazze. Solitamente lo studente ha il tempo di passare da casa o dal suo alloggio per cambiarsi e per indossare abiti civili, questa volta probabilmente non ha avuto il tempo.

Ignaro di quanto avrebbe scatenato una divisa nei nostri ambienti, senza armi, ma con in spalla uno strumento musicale è sceso come ogni settimana nell’aula di lezione. La segretaria allarmata mi ha contattato perché era la prima volta che capitava una situazione simile e non sapeva bene come comportarsi. Le ho detto di verificare che non avesse armi e poi di capire se fosse davvero uno studente. Sebbene la lezione fosse al mattino quando nessuno è a scuola (pertanto la cosa avrebbe potuto passare inosservata), un’insegnante molto sensibile alla questione palestinese era presente nella struttura. Nel pomeriggio un messaggio nella chat dei docenti e dell’amministrazione ha sconvolto la pace e la serenità che di solito regnano al Magnificat. In quanto direttore, ho risposto spiegando che si trattava di un episodio isolato e che il ragazzo non aveva nessuna intenzione di offendere o spaventare alcuno e che gli avremmo chiesto di non venire più in divisa. Si è accesa una discussione che non avrei potuto immaginare. Docenti israeliani che cercavano di prendere le posizioni dell’insegnante che ha tentato di difendere il proprio studente, affermando che non tutte le persone che indossano una divisa sono terroristi omicidi o hanno intenzione di fare del male. Dall’altra parte i docenti di origine palestinese hanno elogiato il coraggio dell’insegnante che, pur essendo europea, ha dato voce a coloro che spesso non ce l’hanno.

Un piccolo episodio che mi ha ricordato quanto fragile e delicata sia la quotidianità in questa terra e quante energie dobbiamo impiegare perché il grande lavoro svolto negli ultimi 25 anni al Magnificat non vada vanificato. Avremo bisogno di tempo tra le mura della scuola per ritrovare un equilibrio che duramente si era costruito. I giorni successivi i messaggi privati e pubblici di tanti docenti mi hanno dato speranza, perché tutti hanno bisogno di pace e cercarla insieme è un dovere al quale nessuno di noi può o deve sottrarsi.

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