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Urge una via d’uscita per le universitarie afghane

Manuela Borraccino
30 agosto 2021
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Non c’erano mai state tante donne negli atenei in Afghanistan come negli ultimi anni di relativa pace e sicurezza. Ora è corsa contro il tempo per portare all’estero gli accademici e le migliaia di universitarie.


Potrebbe sembrare velleitario parlare di sistema universitario in un Paese in guerra da quarant’anni, dove il tasso di analfabetismo supera il 57 per cento (riguarda il 70 per cento delle donne) e dove poco più di 153mila studenti – su 37 milioni di abitanti – frequentano l’istruzione universitaria. Non lo è se si considera che il 61,2 per cento degli afgani ha meno di 24 anni, e soprattutto l’urgente bisogno di persone istruite per traghettare il Paese fuori dalla lista dei primi dieci Stati falliti del mondo. Le giovani afghane laureate, in particolare, secondo gli esperti della Banca mondiale giocherebbero un ruolo cruciale nell’allargamento dell’istruzione primaria, nella riduzione della malnutrizione e mortalità infantile, nel contenimento dell’aumento demografico: le donne istruite tendono infatti ad avere meno figli, a concepirli in media dopo i 25 anni e ad assicurare loro un livello di istruzione pari o superiore al proprio.

Almeno 600 docenti cercano scampo

Dopo i due attentati suicidi all’aeroporto di Kabul che lo scorso giovedì 26 agosto hanno provocato 170 morti e circa 200 feriti, ora è corsa contro il tempo per far fronte alle richieste di lasciare il Paese avanzate da 600 accademici afghani. Fra loro almeno 350 hanno chiesto aiuto ai Paesi confinanti, mentre decine di università europee stanno aderendo all’appello urgente dell’organizzazione Scholars at Risk, la rete internazionale di riferimento per la libertà accademica nel mondo. «Sappiamo che solo in due o tre fino ad oggi sono riusciti a mettersi in salvo: non dipende solo dai voli internazionali, ma dall’apertura dei Paesi confinanti verso le speranze degli afghani» spiega Sinead O’Gorman, direttore della sezione europea della rete. Fra loro, ha aggiunto, ci sono una docente di Psicologia già sotto minaccia per il suo lavoro nel promuovere i diritti delle donne e la salute mentale ed un’altra docente di Salute pubblica ricercata dai talebani per la sua collaborazione con l’Unione europea e la Banca mondiale sui progetti di Salute pubblica. Molti di più fra docenti e studenti, prevede l’organizzazione, si uniranno nelle prossime settimane ai ranghi di chi cerca riparo all’estero.

Studenti più che triplicati negli ultimi anni

Non c’erano mai state tante studentesse universitarie in Afghanistan come negli ultimi anni: gli iscritti agli atenei erano passati da un totale di 37mila nel 2009 a 153.314 nel 2015. Un quinto sono donne, secondo i calcoli della Banca mondiale. Dopo la presa del potere da parte dei talebani, molte stanno cercando di aggiudicarsi le borse di studio messe a disposizione dalle università dei Paesi confinanti, così da non vanificare gli sforzi fatti finora.

«Il nostro sogno era quello di affiancare i nostri fratelli nel ricostruire il Paese, assicurare l’istruzione ai bambini e diventare “angeli della salute” per tutti i malati e i feriti dell’Afghanistan» ha raccontato Shagufta Amiri, raggiunta a Pul-e-Alam, capoluogo del governatorato di Logar, dalla testata University World News. Con altre studentesse di Medicina chiede l’aiuto della comunità internazionale perché le sia permesso lasciare il Paese per motivi di studio.

Mani tese da atenei di Pakistan, India, Iran

Il governatorato della provincia pachistana di Khyber Pakhtunkhwa, confinante con l’Afghanistan, ha annunciato che agli studenti afghani verrà garantita una parte del campus della facoltà di Ingegneria, dove verranno accolti altri 175 studenti oltre ai 132 afghani già frequentanti (nel solo 2020 più di 25mila studenti afgani hanno partecipato alle selezioni per le borse di studio dell’ateneo pachistano). Il Kirghizistan, che ospita nella capitale Bishkek sia l’Università Americana che l’Università dell’Asia Centrale, ha espresso particolare preoccupazione per il futuro delle studentesse afghane ed ha aperto le porte ad altri 500 studenti, oltre ai 40 già presenti nel Paese.

In India, dove studiano circa duemila afgani che ora non vogliono rientrare nel loro paese e dove la pandemia ha già imposto la didattica a distanza negli atenei del paese, i vertici dell’Istituto indiano di tecnologia di Mumbai e dell’omologa università di New Delhi hanno annunciato che faranno tutto il possibile per estendere i permessi di soggiorno agli studenti che ne faranno richiesta e per accogliere quanti chiederanno di poter studiare nel Paese.

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