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Benedetta arte! Giovani artisti musulmani fanno rete

Laura Silvia Battaglia
29 settembre 2020
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Nasce dall'idea di due creative bangladesi emigrate all'estero #ArtMubarak, un aggregatore virtuale pensato per i giovani artisti musulmani in tutto il mondo. Gli ostacoli e le opportunità.


Sono trascorsi quasi due mesi dal lancio dell’hashtag #ArtMubarak sui più diffusi social media (Twitter, Instagram, Pinterest). Un tempo più che sufficiente per dimostrare quanto l’arte dell’illustrazione sia diffusissima tra i millennials musulmani e come la rete possa anche diventare il luogo del business e non solo del marketing di un singolo o di un collettivo di artisti.

#ArtMubarak – che fa riferimento alla parola araba Mubarak che significa «congratulazioni» o «benedetto», a seconda il contesto in cui viene utilizzata – ha visto più di 4mila talenti creativi riunirsi idealmente per condividere e promuovere il loro lavoro, che spazia dalle animazioni ai disegni, dalla fotografia alla poesia, fino alla musica e alla scrittura.

L’hashtag, emerso all’inizio di agosto, è stato creato da Shazleen Khan, illustratrice e fumettista londinese, e da Bushra, illustratrice digitale e scrittrice di narrativa che vive negli Stati Uniti. Entrambe sono originarie del Bangladesh e si sono scoperte a vicenda attraverso i social media. Appena connesse, e dopo essersi confrontate sul loro stile, hanno ingaggiato un dibattito sulle realtà artistiche del Sud-Est asiatico e sul ruolo dei musulmani nello spazio artistico globale.

Per Khan, gli obiettivi principali della creazione di un hashtag erano evidenziare la produzione dei creatori musulmani e dischiudere davanti a loro opportunità di lavoro rilevanti. Entrambe le giovani bangladesi speravano anche di connettersi, tramite i social, con altri artisti, attraverso esperienze condivise. «Sono cresciuta in un’area molto multiculturale, ma quando ho aperto uno studio e ho iniziato a lavorare nelle industrie creative, mi sono trovata da sola in uno spazio dominato dai bianchi. E mentre tutte le persone intorno a me mi accettavano perfettamente, c’era e c’è ancora una carenza di comprensione delle identità e delle esperienze culturali delle persone cosiddette di colore», ha riferito Shazleen Khan al media Middle East Eye. La creativa ha lavorato per la Bloomsbury Press e la Bbc. Ha pubblicato una graphic novel nel 2011 e ha vinto il Broken Frontier Award per il miglior fumetto digitale (webcomic) lo scorso anno.

Uno degli intenti di Khan e Bushra è di «dar voce alle storie delle artiste musulmane e avere uno spazio libero per articolare le nostre narrazioni». Nel tentativo di affrontare la carenza di pluralità, hanno così creato un database di artisti – accomunati, appunto, da #Artmubarak – per condividere e diffondere i loro portfolio. La risposta a livello planetario è stata strepitosa. Nell’arco di un mese migliaia di artisti da tutto il mondo arabo e di seconda generazione, residenti in Europa o America, hanno aderito al database, acquistando visibilità nel mondo delle arti.

Tra loro ci sono anche artiste e artisti emergenti che stanno facendo passi da gigante nel mercato globale come Sana Amanat, la creatrice del nuovo personaggio della Marvel, la supereroina pakistano-americana di nome Kamala Khan, e la graphic novelist e fumettista egiziana Deena Mohamed: il suo fumetto digitale Qahera ha per protagonista una «supereroina visibilmente musulmana che affronta questioni sociali come l’islamofobia e la misoginia».

Ma ci sono anche altri artisti:

Ghada, graphic designer e fotografa, che rappresenta giovani donne dai capelli ricci per celebrarne «la bellezza» – e che ne fa un tratto distintivo, stampandole anche su magliette e borse.

Alaa Musa, medico e artista sudanese, che usa la sua arte per concentrarsi sulle sue esperienze di giovane dottore e rappresentarlo come una giungla caotica: le sue illustrazioni sono basate su eventi reali, in uno dei più grandi ospedali pediatrici del Sudan.

Ispirata dallo Yemen, Noor Ali, dagli Stati Uniti, condivide illustrazioni che rappresentano la sua eredità culturale con illustrazioni che includono abiti tradizionali yemeniti, cibi e donne in hijab: uno dei suoi progetti, Stampe per lo Yemen, includeva la vendita di stampe, destinando i proventi all’emergenza umanitaria in Yemen.

Influenzata dalle origini palestinesi, l’illustratrice digitale Yasemin mostra su Instagram tipografie, disegni e fumetti con i suoi seguaci: il suo lavoro spazia da un fumetto che fa riferimento alle opere del famoso scrittore e poeta palestinese Mahmoud Darwish a dichiarazioni politiche che chiedono la fine dell’occupazione della terra palestinese. Anche in questo caso, con la vendita delle sue stampe e dei suoi oggetti griffati (tazze, articoli di abbigliamento e per la casa), Yasemin finanzia iniziative umanitarie nella Striscia di Gaza.

La stessa Bushra, co-ideatrice di #Artmubarak, è diventata nota a motivo dei suoi disegni digitali, relativi al movimento Black Lives Matter e alle proteste in Sudan, accompagnate dall’hashtag #BlueForSudan che invase i social media nel giugno 2019.

Il problema di questi giovani artisti e – soprattutto – artiste, è superare un duplice ostacolo: il primo viene da un’interpretazione tradizionale dell’arte islamica come luogo esclusivamente della parola, del segno calligrafico. Così i giovani artisti che disegnano fumetti, manga, personaggi e li animano in 3D, di fatto contravvengono ad alcune linee guida imposte da chierici e scuole giuridiche religiose. Il secondo ostacolo non è esterno alle loro comunità: nel mercato del fumetto e nel panorama artistico globale (che la Khan chiama il «là fuori»), c’è «molto poco da una prospettiva musulmana». Vale a dire che i disegnatori e le disegnatrici visibilmente musulmani trovano poco spazio nel mercato, ma anche poca rappresentatività come personaggi dei fumetti. Sitara Shefta che dirige lo studio di sviluppo di videogiochi No Brakes Games con sede a Tenerife, afferma che l’inclusione di personaggi musulmani è un passo significativo per una migliore rappresentazione di questa categoria socio-culturale di persone nei giochi online, perché i musulmani, nel fumetto come nel cinema, ricoprono ruoli stereotipati. «Di solito sono descritti come terroristi o come i cattivi contro cui l’eroe-giocatore combatte».

Il database di artisti musulmani, gestito da Shazleen e Bushra e accessibile a tutti i creativi anche tramite Twitter, raccoglie informazioni sul tipo di lavoro svolto, la nazionalità e il portfolio artistico. I dati vengono condivisi inizialmente tra gli artisti per aiutarli a conoscersi tra loro, e poi con i clienti rilevanti in una fase successiva, in modo che abbiano maggiori possibilità di ricevere commissioni per i progetti. Quando si dice «fare rete»…


 

Perché Diwan

La parola araba, di origine probabilmente persiana, diwan significa di tutto un po’. Ma si tratta di concetti solo apparentemente lontani, in quanto tutti legati dalla comune etimologia del “radunare”, del “mettere insieme”. Così, diwan può voler dire “registro” che in poesia equivale al “canzoniere”. Dove registro significa anche l’ambiente in cui si conserva e si raduna l’insieme dei documenti utili, ad esempio, per il passaggio delle merci e per l’imposizione dei dazi, nelle dogane. Diwan, per estensione, significa anche amministrazione della cosa pubblica e, per ulteriore analogia, ministero. Diwan è anche il luogo fisico dove ci si raduna, si discute, si controllano i registri (o i canzonieri) seduti (per meglio dire, quasi distesi) comodamente per sfogliarli. Questo spiega perché diwan sia anche il divano, il luogo perfetto per rilassarsi, concentrarsi, leggere.

Questo blog vuole essere appunto un diwan: un luogo comodo dove leggere libri e canzonieri, letteratura e poesia, ma dove anche discutere di cose scomode e/o urticanti: leggi imposte, confini e blocchi fisici per uomini e merci, amministrazione e politica nel Vicino Oriente. Cominciando, conformemente all’origine della parola diwan, dall’area del Golfo, vero cuore degli appetiti regionali, che alcuni vorrebbero tutto arabo e altri continuano a chiamare “persico”.

Laura Silvia Battaglia, giornalista professionista freelance e documentarista specializzata in Medio Oriente e zone di conflitto, è nata a Catania e vive tra Milano e Sana’a (Yemen).

Tra i media italiani, collabora con quotidiani (Avvenire, La Stampa, Il Fatto Quotidiano), reti radiofoniche (Radio Tre Mondo, Radio Popolare, Radio In Blu), televisione (TG3 – Agenda del mondo, RAI News 24, Tv2000), magazine (D – Repubblica delle Donne, Panorama, Donna Moderna, Jesus), testate digitali e siti web (Il Reportage, Il Caffè dei giornalisti, The Post Internazionale, Eastmagazine.eu).

Ha girato, autoprodotto e venduto vari video documentari. Ha vinto i premi Luchetta, Siani, Cutuli, Anello debole, Giornalisti del Mediterraneo. Insegna come docente a contratto all’Università Cattolica di Milano, alla Nicolò Cusano di Roma, al Vesalius College di Bruxelles e al Reuters Institute di Oxford. Ha scritto l’e-book Lettere da Guantanamo (Il Reportage, dicembre 2016) e, insieme a Paola Cannatella, il graphic novel La sposa yemenita (BeccoGiallo, aprile 2017).

 

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