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Gli evangelici finanziano l’immigrazione ebraica in Israele

Elisa Pinna
27 marzo 2018
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Gli evangelici finanziano l’immigrazione ebraica in Israele
Nuovi immigrati ebrei dal Nord America sbarcano all'aeroporto Ben Gurion in Israele nell'agosto 2017. (foto Miriam Alster/Flash90)

Circa un terzo della migrazione degli ebrei della diaspora verso Israele viene sovvenzionato dagli evangelici statunitensi. Che vogliono così affrettare l'avvento del Regno di Dio.


I cristiani evangelici, grandi elettori negli Stati Uniti del presidente Donald Trump, finanziano ormai circa un terzo della migrazione degli ebrei della diaspora verso Israele. Lo rivelano le cifre relative al 2017, pubblicate dalla testata digitale israeliana Ynetnews. Su 28 mila ebrei che hanno compiuto lo scorso anno l’aliyah, ovvero  l’ascesa-ritorno alla «terra promessa», almeno 8.500 hanno goduto dei fondi raccolti ufficialmente da organizzazioni cristiane, divenute partner dell’Agenzia ebraica nell’obiettivo di ricondurre gli «esuli» nella patria israeliana. Denaro che non copre solo le spese di viaggio, ma anche e soprattutto quelle di inserimento nella nuova società, con sussidi sociali e aiuti per la costruzione di nuove case. Le due principali sigle di cristiani evangelici impegnate per la causa ebraica sono l’International Fellowship of Christian and Jews (Ifcj) e l’International Christian Embassy of Jerusalem.

Le somme stanziate sono ragguardevoli. Solo la Ifcj ha riferito all’Associated Press di aver distribuito dal 2014 ad oggi 20 milioni di dollari per l’aliyah e di aver donato all’Agenzia ebraica 188 milioni di dollari nei due decenni precedenti. A ciò va aggiunto un impegno finanziario analogo della Christian Embassy, oltre a contributi anonimi. «Dopo duemila anni di persecuzioni ed oppressione, oggi abbiamo cristiani che aiutano gli ebrei. Questa è una cosa straordinaria», osserva compiaciuto, parlando con l’Associated Press, il presidente dell’International Fellowship, il rabbino Yechiel Eckstein, membro anche del consiglio di amministrazione dell’Agenzia ebraica.

Gli evangelici, che rappresentano il settore in più rapida crescita del cristianesimo mondiale e dominano ormai la famiglia dei protestanti, vedono nel moderno Stato ebraico e nel suo dominio sulla Palestina – su tutta la Palestina – la condizione per il realizzarsi delle profezie bibliche e per il trionfo finale del Regno di Dio. L’alleanza tra cristiani evangelici e sionisti ha radici profonde nella storia. Fu un evangelico, lord Shaftesbury, un aristocratico inglese, a inventare nel 1839 lo slogan che si trasformò nell’idea guida del sionismo: «Gli ebrei, un popolo senza un paese, per un paese senza un popolo», una frase riferita alla Palestina, allora minuscola provincia dell’Impero ottomano, che in realtà aveva la sua popolazione locale. Nel 1890, negli Stati Uniti, i cristiani evangelici costituirono una lobby per la creazione di uno Stato ebraico, anche se, sul momento, non se ne fece di niente. Poi, dopo lunghi decenni di collaborazione sottotraccia, tornarono a presentarsi come i «migliori amici di Israele» (una definizione fatta propria anche dall’attuale premier Benjamin Netanyahu) a partire dal primo governo del Likud guidato da Menachem Begin nel 1979 ed ebbero un ruolo chiave nell’aliyah di oltre un milione di ebrei russi, dopo il collasso dell’Unione Sovietica.

Gli evangelici costituiscono anche il 13 per cento di tutti i turisti – ebrei, cristiani, musulmani – che visitano ogni anno Israele. Un turismo, il loro, che privilegia le festività e i luoghi sacri della tradizione ebraica, che porta soldi nelle casse israeliane e che ignora completamente la realtà cristiana palestinese della Terra Santa. Le Chiese storiche della regione, cattolica e ortodosse, hanno buone ragioni per preoccuparsi di questi «missionari» e del loro cristianesimo che acutizza il conflitto con il mondo islamico. La destra espansionista israeliana ha invece tanti motivi per ringraziarli: per gli aiuti finanziari, per aver contribuito al successo di un personaggio come Trump, ardente sostenitore del nazionalismo ebraico, per l’appoggio politico che gli evangelici continuano ad offrire con entusiasmo ad Israele, specie alla luce del dissenso che la politica di Netanyahu invece suscita nella stessa comunità ebraica nord-americana.

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