Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Una scuola per disabili nel cuore della Cisgiordania

Chiara Cruciati
19 novembre 2014
email whatsapp whatsapp facebook twitter versione stampabile
Una scuola per disabili nel cuore della Cisgiordania
Un'insegnante con un bambino della scuola di Beit Fajjar

Una scuola per bambini disabili, per includerli nelle scuole pubbliche e nella società palestinese. È la sfida lanciata a Beit Fajjar, villaggio della Cisgiordania di 12 mila abitanti, a metà tra Betlemme e Hebron. All’origine del progetto l’associazione Maysoon’s Kids, fondata dall’attrice e comica palestinese-statunitense Maysoon Zayid, affetta da paralisi celebrale.


Una scuola per bambini disabili, non per creare ulteriori ghetti ma per includerli nelle scuole pubbliche e nella società palestinese. È la sfida lanciata in un villaggio della Cisgiordania, a metà tra Betlemme e Hebron, circondato dalle colonie israeliane. Beit Fajjar conta 12mila abitanti; l’85% del villaggio è in Area B (sotto il controllo civile palestinese e quello militare israeliano) e il restante 15% in Area C (sotto il totale controllo israeliano).

Al centro della cittadina sta un palazzo in pietra bianca, tipica produzione di Beit Fajjar: è la sede di un centro ricreativo per bambini disabili psichici e fisici e da tre mesi anche la sede della prima scuola dedicata ai minori con disabilità. Al pianoterra, per permettere l’accesso delle carrozzine, la scuola conta diverse aule – dedicate alle lezioni, alla riabilitazione e al gioco – una piccola cucina dove le mamme dei bambini preparano colazioni e pranzi e un parco giochi all’aperto.

Dietro l’avvio del progetto sta l’associazione Maysoon’s Kids, organizzazione no profit fondata dall’attrice e comica palestinese-statunitense Maysoon Zayid, affetta da paralisi celebrale. Quest’anno il progetto è partito: una classe di otto alunni che segue il normale curriculum scolastico governativo, con gli stessi libri e gli stessi esami.

«Il nostro obiettivo è dare un’educazione ai bambini che restano esclusi dalle scuole pubbliche, nonostante abbiano le capacità e la voglia di studiare – ci spiega Bilal Afandi, uno dei responsabili del progetto – L’insegnante tiene classi di arabo, inglese, matematica e scienze, accanto ad attività di socializzazione che tengono conto delle diverse necessità di ogni alunno».

Entriamo in classe, i bambini sono seduti ai loro banchi, il libro aperto davanti: l’insegnante disegna un albero alla lavagna, una scala e un bambino di nome Ahmad. Gli alunni contano in coro gli scalini: uno, due, tre, fino a dieci. E poi a ritroso: dieci, nove, otto…

«Le prime settimane sono state difficili, a causa dell’iperattività di alcuni alunni. Abbiamo insegnato loro a restare seduti durante le lezioni e concentrarsi negli studi. Ognuno ha un iPad, per aiutarli nello studio se hanno problemi motori e di uso delle mani. La scorsa settimana c’è stato il primo esame: è stato un passo importante».

A monte stanno le difficoltà legate alla cultura della società palestinese e l’immagine che dei disabili ha gran parte della popolazione, soprattutto quella che vive nei piccoli villaggi e che non ha una sufficiente educazione sul tema della disabilità: «Prendiamo il caso di Beit Fajjar: è una comunità chiusa, non educata ad affrontare questo tipo di sfida – continua Bilal – Se in una famiglia c’è un disabile, si tenta di nasconderlo, di lasciarlo in casa. Gli stereotipi verso la disabilità sono ancora radicati e abbiamo avuto difficoltà a convincere le famiglie ad aderire al progetto. Per questo ora le coinvolgiamo più che possiamo, con feedback continui, incontri, partecipazione alle attività. I risultati sono ottimi: molte altre famiglie ci hanno contattato perché includessimo i loro figli nel programma».

Bambini che non trovano spazio nelle strutture pubbliche o, se lo trovano, non vengono adeguatamente seguiti. Le scuole governative non sono in grado di accoglierli e includerli: non sono accessibili ai disabili, sono affollate (in Cisgiordania la media di bambini per classe supera le 40 unità), le insegnanti non sono formate a gestire la disabilità.

«La nostra scuola e il centro che la ospita servono sette villaggi intorno a Beit Fajjar, tra cui il campo profughi di Al Arroub e Beit Surif. Per ora siamo riusciti ad aprire una sola classe di otto bambini, ma il nostro obiettivo è crescere ulteriormente, in altre comunità della Cisgiordania. E poi fare il passo successivo: inserirli nelle scuole pubbliche, per evitare di ghettizzarli in classi speciali».

Un rischio concreto legato alla visione che della disabilità hanno ancora ampie porzioni della società palestinese: «La disabilità è vista come un problema che conduce all’esclusione sociale – ci spiega Luca Ricciardi, capo progetto per la ong italiana Educaid, impegnata in tre diversi progetti a Gaza e in Cisgiordania a favore dei disabili – La cultura è legata alla religione e avere un disabile in famiglia è spesso visto come una punizione. Così per evitare critiche e commenti, si preferisce relegare il disabile in casa. Questo si verifica soprattutto nei piccoli villaggi, in Area C, e a Gaza».

Il Giubileo a Roma 2025
Roberta Russo

Il Giubileo a Roma 2025

Guida al pellegrinaggio
Grande storia dei Giubilei
Anna Maria Foli

Grande storia dei Giubilei

Dalle antiche origini ebraiche a oggi
La voce di un silenzio sottile
Johannes Maria Schwarz

La voce di un silenzio sottile

Un cercatore di Dio racconta