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In cattive acque

25/03/2010  |  Milano
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Con la sua visita alla Casa Bianca Benjamin Netanyahu avrebbe voluto mettere la parola fine all'incidente diplomatico scoppiato durante il viaggio in Israele del vicepresidente americano Joe Biden. Invece non è andata così. E Netanyahu ora è davvero in una situazione difficile.


Aveva voluto l’incontro con Obama per mettere la parola fine all’«incidente di percorso» sulle 1.600 case a Ramat Shlomo, scoppiato proprio durante la visita in Israele del vice-presidente americano Joe Biden. Benjamin Netanyahu contava di uscire dalla Casa Bianca con in mano uno dei soliti comunicati in cui si ricordano i legami tra Stati Uniti e Israele e si invitano tutte le parti a riprendere il negoziato, senza dimenticare un riferimento alla minaccia nucleare iraniana. Magari – sotto sotto – il premier israeliano sperava anche di incontrare un Barack Obama indebolito da una sconfitta sulla riforma sanitaria. Alla fine non è successo niente di tutto questo. E adesso Netanyahu si trova davvero in una situazione difficile.

L’isolamento internazionale del suo governo è pressoché totale: è significativo che proprio nelle stesse ore in cui a Washington andava in scena il fiasco del premier israeliano, da Londra arrivava – annunciata dal ministro degli Esteri David Milliband – l’espulsione del capo dell’unità locale del Mossad, il servizio segreto israeliano, come ritorsione per la vicenda dei passaporti britannici falsificati in occasione dell’uccisione del leader di Hamas a Dubai. Una misura che non si vedeva da vent’anni e che potrebbe essere solo l’inizio: l’Australia – che è uno storico alleato di Israele, uno di quei Paesi che all’Onu puntualmente votano contro le risoluzioni in cui il governo dello Stato ebraico è messo sotto accusa – sembra che si appresti a fare altrettanto. E anche la Francia sta proseguendo le sue indagini sulla vicenda. Sulla questione degli insediamenti a Gerusalemme est, poi, la recente presa di posizione del Quartetto (Onu, Stati Uniti, Unione Europea, Russia) è la più forte che si ricordi da anni. Varrebbe la pena di ricordare che – ancora quattro anni fa – un rapporto sulla situazione a Gerusalemme est era stato stoppato dal Consiglio dei ministri degli Esteri dell’Ue perché giudicato un argomento «anti-israeliano».

Viene da chiedersi, allora, che cosa stia succedendo. La risposta di Israele (e di tanti filo-israeliani anche di casa nostra) oggi è una sola: è tutta colpa di Barack Obama e della sua amministrazione «sbilanciata dalla parte dei palestinesi». I coloni – che come al solito urlano ciò che anche tanti altri in Israele pensano – stanno già manifestando contro l’«intifada di Obama», sostenendo che gli scontri di queste ultime settimane non sono dettati dalle nuove costruzioni o dai tanti nodi irrisolti del conflitto, ma dall’atteggiamento «folle» di Washington. Ma le cose stanno davvero così? Il problema è davvero solo Obama? E il malessere dietro alle continue iniziative dei coloni a Gerusalemme est è solo suo? Mi ha colpito molto in questi giorni un articolo uscito sul sito di The New Repubic, una testata tradizionalmente filo-israeliana. Propone un ragionamento di una linearità straordinaria su Sheik Jarrah, il quartiere arabo dove la tensione è più forte da settimane.

Il problema di Sheik Jarrah è che i coloni vogliono tornarci perché prima del 1948 questa zona della città si chiamava Shimon haTzadiq – Simone il Giusto -, che è poi il nome di una personalità religiosa ebraica di duemila anni fa qui sepolta. «Allora fummo cacciati dalle nostre case e adesso vogliamo ritornarci». E qualcuno ha già cominciato, rendendo di fatto questo quartiere a poche centinaia di metri dalla porta di Damasco un posto blindato dall’esercito. Leon Wiseltier su The New Republic si chiede: ma come fa il governo Netanyahu a non capire che lasciare andare avanti questa pretesa su Sheik Jarrah significa – di fatto – ammettere che anche la richiesta «di tornare alle loro case» avanzata dai profughi palestinesi (ugualmente cacciati nel 1948) è legittima? È una domandina che ci piacerebbe girare in Italia anche a Il Foglio, che qualche giorno fa ha pubblicato un articolo in cui difende a spada tratta i diritti dei coloni su Sheik Jarrah.

Sbaglia chi riduce il contrasto a una questione personale con Obama: il problema che Israele si trova ad affrontare è molto più generale. Questo governo con un ministro degli Esteri come Lieberman ha aperto gli occhi a più di un interlocutore sui metodi dei coloni. E in giro c’è molta meno voglia di chiudere un occhio. Per questo adesso la posizione di Netanyahu si fa difficile: oggi i ministri dell’ala destra del suo governo hanno rilasciato grandi dichiarazioni di sostegno. Ma a questo punto le sorti del governo sono in mano a Ehud Barak, che invece tace: ci si dimentica, infatti, che il voto dei laburisti è determinante per la sopravvivenza di questo governo. È principalmente Barak a dover scegliere se restare in una coalizione che va avanti a muso duro contro tutto e contro tutti o se aprire la strada a una crisi di governo che – probabilmente – porterebbe a un nuovo governo guidato da Tzipi Livni.

Piccolo corollario conclusivo: mentre Netanyahu si sta mettendo alle corde da solo, il mondo arabo che cosa fa? Rischia per l’ennesima volta un clamoroso autogol. Da sabato a Tripoli si tiene il vertice della Lega araba. E in una situazione del genere qual è una delle questioni sul tappeto? Il ritiro per protesta del Piano di pace arabo approvato a Beirut nel 2002. Quello che per la prima volta affermava esplicitamente la disponibilità di tutti i Paesi arabi di riconoscere Israele a condizione della nascita di uno Stato palestinese entro i confini del 1967. Ora l’ala dura (che probabilmente non ha mai digerito questa iniziativa saudita) preme per annullare il Piano come forma di protesta rispetto all’espansione israeliana a Gerusalemme est. E Hamas fa il tifo per questa soluzione. Sarebbe un salvagente del tutto insperato per il povero Netanyahu.

Clicca qui per leggere la notizia di Arutz Sheva sull’intifada di Obama

Clicca qui per leggere l’articolo di Leon Wiseltier apparso su The New Republic

Clicca qui per leggere sul sito di Informazione corretta l’articolo in cui Il Foglio ha preso le difese dei coloni di Sheik Jarrah

Clicca qui per leggere la notizia di Maan sul vertice della Lega araba

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