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Quelli che il muro non ferma

Elena Bolognesi
18 settembre 2009
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Quelli che il muro non ferma

L'ultimo libro di Suad Amiry, Murad Murad, racconta il viaggio di centinaia di lavoratori palestinesi che ogni notte cercano di entrare illegalmente in Israele dalla Cisgiordania con la speranza di trovare un datore di lavoro ebreo che, sfidando la legge, li assuma come operai o giardinieri. Ore e ore di cammino, avanti e indietro, per evitare le jeep dell'esercito che presidiano i possibili varchi e che ogni notte riescono ad arrestare qualcuno. Murad, Murad è un libro da leggere tutto d'un fiato.


Un viaggio lungo 18 ore. L’ultimo libro di Suad Amiry, Murad Murad, racconta il viaggio di centinaia di lavoratori palestinesi, che ogni notte cercano di entrare illegalmente in Israele dalla Cisgiordania, con la speranza di trovare un yahood, un datore di lavoro ebreo che, sfidando la legge, li assuma anche solo per qualche ora, come operai o giardinieri: va tutto bene.

L’autrice, architetto e docente presso l’Università di Birzeit a Ramallah, è una scrittrice atipica: il suo primo libro – Sharon e mia suocera – ha visto la luce nel 2002 durante i dieci mesi dell’assedio di Ramallah da parte dell’esercito israeliano. Lettere circolari affidate a Internet per rassicurare amici e parenti e per scavalcare il muro invisibile del coprifuoco sono diventate un prezioso documento, vibrante di disappunto misto a una straordinaria verve ironica.

Anche nel caso di Murad Murad, la penna lucida e appassionata, colta e ironica, di Suad Amiry si piega alla dura realtà dei Territori Palestinesi. Come anche il suo corpo, costretto nel vano tentativo di assumere sembianze maschili, per essere accolta tra i big boys, gli abili «cacciatori della notte», che camminano, corrono, saltano per ore col favore della notte in cerca di un’unica preda: 150 shekel (circa 30 euro), 250 se va molto bene… quando in Cisgiordania al massimo se ne guadagnano 70. Un tempo erano molti i palestinesi che lavoravano in Israele con regolari permessi. «Oggi – constata amaramente Mazen – non ci vogliono più. Hanno fatto arrivare braccianti da tutto il mondo: taiwanesi, cinesi, ucraini, romeni, e chi più ne ha più ne metta. C’è di tutto, tutto tranne noi palestinesi».

Ore e ore di cammino, avanti e indietro per evitare le jeep dell’esercito che presidiano i possibili varchi e che anche questa notte riusciranno ad arrestare qualcuno dei big boys: «Mi hanno pestato e portato dritto in galera… Ho firmato un documento impegnandomi a non entrare mai più di straforo in Israele in cerca di lavoro. Altrimenti finisco in prigione per tre anni».

Fino al muro: quello di cemento armato alto 8 metri e quello di reticolato nel quale si può ancora trovare un passaggio. L’ingresso in Israele, per chi ce la fa, a volte avviene quando ormai la giornata lavorativa è persa, ma nessuno demorde, soprattutto Murad che con i suoi 21 anni, 8 dei quali da big boy, è un veterano e non torna mai indietro. Per lui – riflette l’autrice – Israele non è una realtà virtuale, come per sé e per molti altri che si fermano a cercare le tracce di un passato che non esiste più: «Per Murad Israele era "casa", una realtà, una dura realtà».

Murad Murad è un libro da leggere tutto d’un fiato, quasi in tempo reale, nello spazio di una notte rincorsa dai saliscendi della Cisgiordania fino alle spiagge di Tel Aviv. Ma è anche un libro che interroga e denuncia, senza pretese e senza retorica, con la sola forza della testimonianza.

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