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Damietta vista dai crociati

Daniele Civettini
14 settembre 2009
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Damietta vista dai crociati

Predicare o combattere? La domanda si ripresenta quasi inalterata nei secoli, rappresentando la tensione che ha caratterizzato una parte cospicua della storia dei rapporti tra la leadership cristiana, laica ed ecclesiastica, e tutto ciò che si è posto al di fuori dell'ortodossia. Predicare o combattere? è anche il titolo di uno dei tre saggi che corredano l'edizione italiana di due fonti preziose per la conoscenza della fallimentare quinta crociata: l'anonimo Tractatus de locis et statu Sancte Terre Ierosolimitane e l'Historia damiatina, di Oliviero di Colonia, testimone oculare dell'assedio di Damietta del 1219, ultimo successo militare prima della definitiva ritirata delle milizie cristiane nel 1221.


Predicare o combattere? La domanda si ripresenta quasi inalterata nei secoli, rappresentando la tensione che ha caratterizzato una parte cospicua della storia dei rapporti tra la leadership cristiana, laica ed ecclesiastica, e tutto ciò che si è posto al di fuori dell’ortodossia. Predicare o combattere? Questo è anche il titolo di uno dei tre saggi (autore Giancarlo Andenna) che corredano l’edizione italiana a cura di Marietti di due fonti preziose per la conoscenza della fallimentare quinta crociata: l’anonimo Tractatus de locis et statu Sancte Terre Ierosolimitane e l’Historia damiatina, di Oliviero di Colonia, predicatore ed esperto di armi giunto fino al cardinalato, testimonianza oculare dell’ultimo episodio favorevole e glorioso della spedizione (l’assedio vincente di Damietta presso la foce del Nilo del 1219) prima della definitiva ritirata delle milizie cristiane nel 1221.

Nella Historia di Oliviero la domanda sembra non porsi. Se nello scenario estemporaneo, quasi idilliaco, del Tractatus, scritto qualche anno prima dell’Historia si dice in più punti come islamici e cristiani vivessero concordi, talvolta onorando persino gli stessi santuari, nell’Historia si combatte e si predica il Dio degli eserciti: «Grazie a una tale guida, i soldati di Cristo, entrati a Damietta, trovarono le sue strade coperte dai morti, che si erano spenti per la malattia e la fame; c’erano oltremisura oro e argento, stoffe di seta dei mercanti in abbondanza, varie suppellettili».

Il Dio cristiano del 1219 viene predicato (e creduto) così, tanto in Europa, quanto in Terra Santa: ordina le crociate, dona il Paradiso ai soldati che si imbarcano, è glorificato dalle vittorie, scomunica i potenti che abbandonano il campo, vigila severamente sulla decima del bottino da dare alla Chiesa e punisce i peccati dei suoi vessilliferi con pesanti rovesci militari. In questo senso, l’Historia damiatina, testo tradotto e introdotto accuratamente da Barbara Bombi, è un documento straordinario per capire la «normalità» di una guerra santa; lo spazio maggiore è dedicato alla descrizione minuziosa di ciò che concerne un conflitto armato: fortificazioni, macchine, strategie, particolarità geografiche; tutti fattori resi più accessibili al lettore dal saggio di Aldo A. Settia, titolato Gli "Angeli" a Damietta che chiude la pubblicazione.

Eppure c’è un’altra faccia della medaglia, altrettanto coerente con il pensiero politico e religioso del tempo, rappresentato dai tentativi di Innocenzo III e Federico II (e da Oliviero stesso, che si spinse fino a proporre la conversione al sultano) di creare per via diplomatica le premesse per una convivenza pacifica tra islamici e cristiani nella terra che raccoglie le radici di tre monoteismi. In questa «normalità» non trova posto il fatto più celebre e stravagante di allora, l’incontro tra Francesco d’Assisi e il sultano, avvenuto poco prima che Damietta cadesse, accadimento così al di fuori dalle categorie dello spazio e del tempo da non essere compreso per lungo tempo nemmeno dai discepoli del santo. Oliviero non ne parlò; in compenso, tramite la sua Historia, raccontò ciò che Francesco stesso vide, e con cui il lettore odierno si può immedesimare.

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