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Sangue nella yeshiva

Giorgio Bernardelli
7 marzo 2008
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Sangue nella<i> yeshiva</i>
Studenti ebrei intenti allo studio dei testi sacri in una yeshiva.

C'è un grosso rischio che tutti corriamo di fronte a questo conflitto infinito tra israeliani e palestinesi: quello di catalogare ogni cosa sotto l'etichetta del «già visto». Senza cogliere che ci sono alcuni fatti tragici destinati a lasciare purtroppo il segno molto più di altri. È il caso dell'attentato sanguinoso compiuto ieri sera a Gerusalemme contro la yeshiva Merkaz HaRav, il seminario rabbinico punto di riferimento dell'ala religiosa del movimento dei coloni. Si tratta di un fatto probabilmente destinato a lasciare pesantemente il segno sul futuro del conflitto. E alcuni articoli tratti dai quotidiani israeliani di oggi ci aiutano a capire il perché.


C’è un grosso rischio che tutti corriamo di fronte a questo conflitto infinito tra israeliani e palestinesi: quello di catalogare ogni cosa sotto l’etichetta del «già visto». Senza cogliere che ci sono alcuni fatti tragici destinati a lasciare purtroppo il segno molto più di altri. È il caso dell’attentato sanguinoso compiuto ieri sera a Gerusalemme contro la yeshiva Merkaz HaRav, il seminario rabbinico punto di riferimento dell’ala religiosa del movimento dei coloni.

Si tratta di un fatto probabilmente destinato a lasciare pesantemente il segno sul futuro del conflitto. E alcuni articoli tratti dai quotidiani israeliani di oggi ci aiutano a capire il perché. Intanto c’è il dato di fatto che l’attentatore era un palestinese di Gerusalemme Est con carta d’identità israeliana. È l’ulteriore conferma di come la temperatura del conflitto stia pericolosamente salendo anche sul «fronte interno», cioè negli rapporti con gli arabi che vivono in Israele o a Gerusalemme Est. Lo sottolinea su Yediot Ahronot Ron Ben-Yishai, evocando lo spettro di una terza intifada. E dicendo espressamente che nelle prossime ore c’è da attendersi provocazioni nelle strade. Sarà decisivo riuscire a mantenere i nervi saldi.

C’è poi l’elemento religioso di questa strage, sottolineato bene da Amir Mizroch sul Jerusalem Post. L’establishment israeliano – scrive – in queste ore fa le sue valutazioni politico-diplomatiche. Ma farebbe bene anche ad ascoltare la radio dei sionisti religiosi. Questo segmento della popolazione in rotta con i Palazzi di Gerusalemme già dal ritiro da Gaza del 2005, durissimo nelle contestazioni al primo ministro Ehud Olmert sul processo di Annapolis, deciso a non mollare neanche quegli insediamenti che la stessa legge israeliana considera illegali. Oggi accusano di non essere stati protetti. E c’è il pericolo concreto di una loro reazione violenta.

Infine è molto interessante anche l’articolo nel blog di Bradley Burston, su Haaretz. Perché Burston è una delle voci abitualmente più critiche in Israele. Uno che non ha paura di prendersi gli insulti dei suoi lettori pur di denunciare quando i diritti dei palestinesi vengono violati. Uno che contro le idee estremiste che si insegnano in luoghi come la Merkaz HaRav ha più volte scritto con chiarezza. Oggi Burston scrive «all’Occidentale che comprende il terrorista» dicendogli: almeno oggi «risparmiaci le tue spiegazioni». Invita a interrogarsi sul motivo dell’insensibilità del mondo ai morti di Gaza della scorsa settimana. Non è che forse – si chiede – molto più del «controllo ebraico sui media», con questa indifferenza c’entrano azioni come quella di ieri sera alla yeshiva Merkaz HaRav? È una domanda scomoda con la quale oggi bisogna assolutamente fare i conti.

Clicca qui per leggere l’articolo di Yediot Ahronot

Clicca qui per leggere l’articolo del Jerusalem Post

Clicca qui per leggere l’articolo di Bradley Burston su Haaretz

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