Siamo all'ennesima crisi umanitaria. A Gaza. E anche a Sderot. Nella Striscia l'ulteriore stretta sui rifornimenti di gasolio ha creato nuovi problemi all'approvvigionamento dell'energia elettrica. Con le conseguenze facilmente immaginabili su ospedali e generi di prima necessità. Come sempre accade in questo conflitto la battaglia si è subito spostata sui media. Con il consueto scambio di accuse reciproche sulle responsabilità di questa situazione.
Siamo all’ennesima crisi umanitaria. A Gaza. E anche a Sderot. Nella Striscia l’ulteriore stretta sui rifornimenti di gasolio ha creato nuovi problemi all’approvvigionamento dell’energia elettrica. Con le conseguenze facilmente immaginabili su ospedali e generi di prima necessità. Come sempre accade in questo conflitto la battaglia si è subito spostata sui media. Con il consueto scambio di accuse reciproche sulle responsabilità di questa situazione.
Ma il dato più interessante di queste ore è che due grandi quotidiani israeliani, Haaretz e Yedioth Ahronot, hanno dato spazio a due articoli in cui si dice a chiare lettere che tutto questo è del tutto inutile alla sicurezza di Israele. Su Haaretz Gideon Levy si scaglia contro l’establishment della Difesa israeliana, che per dimostrare quanto fatto per garantire la sicurezza al Sud d’Israele nei giorni scorsi ha fornito i dati sugli «uomini armati» uccisi a Gaza. Perché – sostiene l’articolo – non si dice invece che i lanci di razzi Qassam, in questa settimana di incursioni, sono stati molti di più rispetto a quella precedente, durante la quale le azioni erano state «congelate» per via della visita di Bush. «Le continue uccisioni a Gaza – sostiene Levy – non stanno dando alcun risultato, se non quello di aumentare la tensione su Sderot». Toni molto simili utilizza Yigal Sarna su Yedioth Ahronot, in un commento in cui definisce Gaza il «sacco da pugile» di Israele. «Non c’è alcuna incursione di terra – sostiene – in grado di salvare Sderot, perché Sderot e Khan Younis e Beit Hanoun sono legate insieme come gemelli siamesi. Più Gaza affonda, più diventa affamata, più è oscurata, bruciata, polverizzata, colpita, e più vedremo il numero di razzi crescere».
Altrettanto significativo un articolo apparso sul versante politico opposto israeliano, l’agenzia vicina ai coloni Arutz Sheva, che ha aperto un dibattito sull’iniziativa lanciata da una ong ebraica americana, che vuole portare i bambini di Sderot negli Stati Uniti. Un’iniziativa per dare una risposta a una situazione che – non ci stancheremo mai di ripeterlo – è altrettanto insostenibile quanto quella di Gaza. Ma – si chiede Arutz Sheva – andarsene da Sderot non è il primo passo per poi andarsene da tutta Israele? Abbiamo paura che la soluzione che hanno in mente quelli di Arutz Sheva non sia molto diversa da quella che l’esercito israeliano sta mettendo in atto in queste ore. Eppure il problema che pongono resta. Più affonda Gaza e più affonda anche Sderot. Ma vale anche il contrario: senza passare da Sderot non si riuscirà mai a salvare nemmeno Gaza.
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