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Un ricordo di abuna Matta al-Meskin (1919-2006)

13/06/2006  |  Milano
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Un ricordo di abuna Matta al-Meskin, una delle figure di spicco del monachesimo copto contemporaneo, spentosi l'8 giugno scorso in Egitto. Eremita, maestro e fondatore di nuove comunità era stato anche un autore spirituale prolifico, che ha dato un grande contributo al risveglio della Chiesa copta.


Giovedì 8 giugno scorso è morto, all’età di 87 anni, il monaco Matta al-Meskin, «Matteo il Povero», una delle figure più carismatiche e note del monachesimo copto attuale. Nel nome egli si riallacciava al grande patriarca Matteo I (25 luglio 1378 – 31 dicembre 1408), chiamato appunto Matta al-Meskin nelle cronache arabe, personaggio dai carismi leggendari, che riunì in sé tutti i tratti dell’ideale religioso della sua epoca e costituì, con Marco l’Antoniano e Anba Ruways, un famoso trio di santi copti del periodo mamelucco.

Al secolo Yusuf Iskandar, l’abuna Matta al-Meskin era nato nel 1919 a Benha Qalyubiyya (Egitto). Nel 1944 si era laureato in Farmacia presso l’Università del Cairo, ma nel 1948, venduta la farmacia che possedeva e distribuiti i soldi ai poveri, aveva deciso di ritirarsi nel Dayr al-Suryan, «il monastero dei siriani», nello Wady an-Natrun, l’antica Scete, a una novantina di chilometri dal Cairo, sul lato occidentale della via del deserto verso Alessandria, nel Delta Occidentale, col proposito di contribuire al rinnovamento monastico. Per mancanza di intesa in quel monastero, il religioso si era trasferito dapprima al Dayr Anba Samuel, nel Fayum, e quindi, nel 1956, a Helwan, 35 chilometri a sud del Cairo. Là, seguito da altri confratelli, aveva formato una piccola comunità e dato vita a un periodico di spiritualità.

Del 1959 è la salita al trono patriarcale della sede di san Marco Cirillo VI (19 aprile 1959 – 9 marzo 1971), al quale va generalmente ascritto il merito di avere avviato un solido rinnovamento del monachesimo nella Chiesa copto-ortodossa. Uno dei primi atti del nuovo patriarca (agosto 1960) fu di ordinare ai monaci che non risiedevano nei monasteri di rientrare presso la loro sede, pena la scomunica. Non ottemperando al decreto patriarcale, nell’ottobre 1960 Matta el-Meskin si trasferì col suo gruppo nello Wady al-Rayan, nel deserto occidentale, circa duecento chilometri a sud-ovest del Cairo. Qui il gruppo visse una vita monastica in senso stretto, nello spirito dei Padri del Deserto, in mezzo a un ambiente naturale austero e ai pericoli di quell’aspro habitat, nella privazione di ogni bene e conforto che non fosse spirituale. Solo nell’estate del 1969, in occasione del decennale dell’elezione di Cirillo VI, Matta si riconciliò col patriarca, integrandosi con dodici suoi seguaci nel Dayr Anba Maqar, il celebre monastero di San Macario, nello Wady an-Natrun, dedicato alla grande figura monastica di Macario l’Egiziano, al quale si deve, verso il 330, la fondazione del primo insediamento monastico di Scete. Qui, raggiunto da altri monaci, Matta diventò ben presto l’anima del rinnovamento spirituale e materiale del monastero, che allora contava solo sei monaci; in pochi anni il monastero accrebbe cospicuamente non solo le sue proprietà ma anche il numero dei monaci, oggi ormai un centinaio (110 nel 2004).

La risolutezza del carattere, temprata dalla vita eremitica che continuò a vivere anche quando ufficialmente risiedeva ormai nel monastero ma in pratica in una grotta non lontana, e che già si era manifestata nella sua opposizione al patriarca Cirillo, la ritroviamo anche nella contrapposizione dialettica col nuovo patriarca Shenuda III, eletto il 31 ottobre 1971. Fautore di una forte rinascita dell’identità copta e poco propenso a subire in silenzio gli attacchi che la comunità copta pativa regolarmente da parte degli estremisti islamici, il nuovo patriarca protestava energicamente con le autorità governative ogni qual volta riteneva che i diritti dei copti venissero calpestati o trascurati. Si inimicò così il presidente Sadat, che il 5 settembre 1981 lo depose dalla sua carica e lo relegò agli arresti domiciliari nel Deyr Anba Bishoi. Fautore di un monachesimo tradizionale, coi monaci dediti alla preghiera e al lavoro, isolati dalla società ed estranei alle attività di tipo politico, Matta al-Meskin non condivideva con Shenuda il comportamento da adottare di fronte agli incidenti confessionali. A Sadat non parve vero di presentare il monaco Matta al-Maskin come il vero monaco, il prototipo del vero capo religioso, opposto al patriarca che voleva ergersi come leader politico. Tutto ciò ha creato un clima di tensione nel mondo monastico, non ancora del tutto sanato.

Nella serenità del suo monastero, Matta al-Meskin ha trovato il tempo anche per un’enorme produzione letteraria, che ammonta a più di settanta libri e duecento articoli, per lo più di argomento spirituale, alcuni dei quali tradotti anche nelle lingue europee. In tal modo, il monastero ha svolto un compito molto rilevante nel risveglio della Chiesa Copta. Considerato da tutti i cristiani d’Egitto come il padre spirituale per eccellenza, Matta al-Meskin ha attirato intorno a sé e al monastero di san Macario, cristiani di ogni estrazione, che accorrevano per ascoltare il suo insegnamento spirituale, frutto di contemplazione, di preghiera e di ascesi.

La sua morte lascia un vuoto non solo nella Chiesa copta, ma anche nella Chiesa universale.

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Ernesto Borghi

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