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Israele, apre la Fiera del libro. Gli scrittori esordienti ci contano

06/06/2006  |  Tel Aviv
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Gli israeliani un popolo di colti divoratori di libri? A quanto pare no, stando ai dati diffusi in occasione della Fiera del libro che si apre domani, 7 giugno, in varie città di Israele. Per le statistiche ogni cittadino acquista in media cinque libri all'anno. Ma in realtà è come la vecchia storia del mezzo pollo a testa per ogni abitante del mondo. Leggete perché. Scoprirete inoltre che anche a queste latitudini gli scrittori fanno vita grama.


(a.g./agenzie) – Tutti pazzi per la scrittura. In Israele in questi giorni sono decine i libri in uscita. Non solo il celebre Amos Oz, ma anche tanti autori sconosciuti danno alle stampe il frutto delle propria penna. È una pura coincidenza?

No, domani prende il via l’annuale Fiera del libro e per gli scrittori è un’occasione ghiotta per farsi conoscere. Le bancarelle che saranno allestite nelle maggiori piazze delle città israeliane faranno fatica a contenere tutti i volumi inediti.

La manifestazione giunge quest’anno alla sua ottantesima edizione. La prima volta fu organizzata a Tel Aviv nel 1926. I dirigenti sionisti dell’epoca vollero fortemente quest’iniziativa. Pensavano che sarebbe stato impossibile dar vita a uno stato nazionale ebraico senza una lingua comune. Nel Paese regnava infatti un’incredibile babele linguistica: la gente si esprimeva in russo, polacco, ladino, yiddish, arabo, inglese, francese, tedesco…

La Fiera sarebbe stata così la prima pietra del futuro Stato. I primi libri in ebraico sulle bancarelle di viale Rothschild a Tel Aviv furono venduti con uno sconto del 25 per cento. Un incentivo per attirare gli acquirenti che in questo modo avrebbero aiutato la causa sionista.

Oggi dopo ottant’anni l’ebraico imperversa in tutti i campi: dalla pubblicità all’informatica, alla musica rock.

La vita dello scrittore, però, rimane dura. Ogni anno in Israele vengono pubblicati quattromila nuovi libri. Solo i romanzi sono circa 500, più di uno al giorno.

Soprattutto per una penna emergente è difficile affermarsi in un mercato editoriale così prolifico. Oltre alla Fiera sono poche altre le vetrine per mettersi in mostra. Bisogna sperare in una recensione nel supplemento libri del quotidiano Haaretz o in un’intervista di un programma televisivo serale.

Se poi l’offerta di libri è così copiosa da creare una concorrenza spietata, sul versante della domanda non mancano i segnali preoccupanti. Secondo il quotidiano Yediot Ahronot un israeliano acquista in media cinque libri all’anno. Un dato «europeo» che però è l’esito di una sconfortante sproporzione: se in un anno il 20 per cento degli israeliani compra oltre 20 volumi, il 70 per cento non ne acquista nemmeno uno.

In generale le vendite in Israele sono poco remunerative. Per godere di una condizione economica soddisfacente gli scrittori israeliani devono preoccuparsi di prendere accordi di traduzione con Paesi importanti: tra questi Yediot Ahronot suggerisce quelli dove sono più forti i sentimenti collettivi di colpa verso gli ebrei. Al di là del cinico consiglio del giornale, prima di riempire un foglio bianco gli autori dovranno mettere in conto l’ipotesi di scrivere solo per la gloria.

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