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Ancora brutalizzati in Egitto i profughi eritrei che sognano Israele

Lucia Balestrieri
8 novembre 2011
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Nessuno si ricorda più di loro. Eppure ci sono ancora 500 profughi eritrei sequestrati da bande di beduini criminali e tenuti prigionieri nel deserto del Sinai, in attesa che i loro familiari paghino un riscatto. Altri 300 sono stati fermati dall’esercito egiziano e si trovano in vari centri di detenzione. Per lo più sono cristiani. Tutti vorrebbero raggiungere Israele.


(Milano) – Inghiottiti nel deserto, nessuno si ricorda più di loro. Eppure ci sono ancora 500 profughi eritrei sequestrati da bande di beduini criminali e tenuti ancora prigionieri nel Sinai, in attesa che i loro familiari paghino un riscatto per liberarli. Altri 300 sono stati fermati dall’esercito egiziano e si trovano in centri di detenzione ad Assuan, al Cairo e in altri luoghi del Paese. La loro sorte non è migliore di chi è alle prese con i predoni. Infatti, con torture e minacce, la polizia egiziana sta cercando di costringere gli eritrei, al 90 per cento rifugiati e quindi aventi diritto di asilo, a firmare il proprio foglio di rimpatrio. In particolare, ad essere presi di mira sono stati 118 giovani cristiani, picchiati senza pietà. A denunciare, in una conversazione con Terrasanta.net, questo ennesimo dramma dimenticato , è don Mussie Zerai, presidente dell’Agenzia Habeshia per la cooperazione allo sviluppo, che si occupa di aiutare e assistere i profughi eritrei, in gran parte cristiani, ma anche musulmani.

«Nei campi rifugiati nel Nord Sudan e in Etiopia – spiega il religioso – vivono circa 260 mila eritrei; altri ancora si trovano nel Sud Sudan. Si tratta di disperati, fuggiti da guerre passate e, con l’indipendenza dell’Eritrea, da un regime militarizzato e oppressivo». Da lì, risalgono verso nord, cercando di raggiungere Israele, la «terra promessa», dove sperano di essere accolti grazie al loro status di rifugiati. «Finora 20 mila sono riusciti ad entrare clandestinamente nello Stato ebraico», stima don Zerai.

È un flusso continuo, che non si ferma di fronte ad alcun pericolo. Trasportati su camion cisterna o per il bestiame, gli immigrati arrivano nel Sinai e devono pagare 1.000 dollari ai trafficanti, spesso armati, che percorrendo i sentieri montagnosi della penisola li avvicinano al confine con Israele. Il viaggio può durare anche mesi e concludersi con una nuova richiesta di denaro, pena la tortura o anche la morte. Lo scorso anno i beduini-trafficanti uccisero anche donne e bambini, che non avevano pagato a sufficienza. Ci fu una mobilitazione internazionale. Ora però è calato di nuovo il silenzio. L’Agenzia Habeshia è preoccupata per i 500 ostaggi dei beduini e per coloro che rischiano il rimpatrio forzato e «illegale» da parte delle autorità egiziane. «Ci risulta che tutte le firme siano state estorte con torture pesantissime dai poliziotti egiziani. Alcuni ragazzi si trovano in condizioni gravi, ma l’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu non ha avuto possibilità di visitarli», osserva don Zerai. Servirebbe – afferma – che si tornasse a parlare di loro.

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