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In Turchia rimane all’orizzonte una legge sugli agenti stranieri

Fulvio Scaglione
14 novembre 2024
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Come nel 2023, anche quest'anno il governo di Ankara ha provato ad introdurre nuove norme contro gli agenti stranieri, ma poi si è fermato, almeno per ora. Leggi simili vigono già in altre parti del mondo e si prestano a possibili abusi contro chi esprime dissenso.


È finita come l’anno scorso: il governo turco, di fronte alla mobilitazione della società civile e all’appello firmato da 91 organizzazioni non governative, ha ritirato la proposta di legge sugli «agenti stranieri» (a sua volta contenuta all’interno di una legge omnibus, qualcosa di simile agli italiani «decreti milleproroghe») che aveva avanzato, appunto, già l’anno scorso e aveva poi ripresentato nei mesi scorsi.

La lettera della legge pareva relativamente innocente: prevedeva di punire le azioni «commesse in linea con le direttive o gli interessi strategici di uno Stato estero o di un’organizzazione straniera contro la sicurezza dello Stato o gli interessi [di quest’ultimo] di politica interna o estera» con pene variabili dai 3 ai 7 anni di carcere. Una norma anti-spionaggio che però definiva le famose «azioni» in maniera così ampia e generica da favorire poi qualsiasi tipo di politica repressiva. Contro gli oppositori, le ong, la stampa.

Una vittoria della società civile, dicevamo. Che potrebbe però essere solo provvisoria. Il governo dice di aver stralciato il provvedimento, evitando così il relativo dibattito pubblico in Parlamento, solo per poterlo «migliorare». Vedremo se si tratta solo di un modo per mascherare la ritirata o se i sostenitori della legge torneranno alla carica nel prossimo futuro. Noi propendiamo per la seconda ipotesi, ed ecco perché. Intanto, i Paesi che hanno adottato leggi simili (e poi vedremo fino a che punto l’aggettivo «simile» è giustificato) sono più numerosi di quanto di solito si dica. Sono Stati Uniti, Russia, Georgia, Ungheria, Australia, Canada, Ucraina. A questi vanno aggiunti l’Unione Europea (che sta lavorando a un progetto di legge sugli agenti stranieri) e la Repubblica serba di Bosnia ed Erzegovina, che peraltro non ha personalità giuridica internazionale.

Ed è qui che l’aggettivo «simile» torna in ballo. Le leggi di tutti questi Paesi hanno un tratto comune: l’attenzione alle organizzazioni o agli individui che ricevono fondi da Paesi stranieri. Dagli Usa alla Russia, tutti, senza eccezioni, accendono un faro di controllo statale su questo punto. La legge americana (Foreign Agents Registration Act), che fu promulgata nel 1938 nel timore delle attività di propaganda della Germania nazista e che è servita da preciso modello per le legislazioni di Canada e Australia, è particolarmente attenta a coloro che, con attività di lobby finanziate da altri Paesi, cerchino di influenzare la politica Usa. Ma può chiedere la registrazione come «agente straniero» anche alle ong la cui sopravvivenza dipenda, appunto, da donazioni in arrivo dall’estero. Questo è ciò che implica, per fare un esempio diverso, anche la recente e molto contestata legge approvata in Georgia, che prevede la registrazione presso il ministero della Giustizia delle ong che ricevano il 20 per cento dei loro fondi dall’estero.

Restano due fatti incontrovertibili per quanto riguarda leggi di questo tipo. Il primo è la crescente paura, tipica del mondo contemporaneo, che il proprio assetto interno possa essere in qualche modo «corrotto» dalle attività altrui. Ed è una paura crescente, se pensiamo che non molto tempo fa si attribuiva a un Paese (la Russia) la capacità di «imporre», con una gigantesca attività d’influenza, la scelta di un presidente piuttosto che di un altro a una potenza come gli Usa. Il secondo è che, comunque siano concepite, queste leggi assumono questo o quel tono a seconda del contesto politico generale. La legge sugli agenti stranieri della Russia, per esempio, somiglia molto a quella Usa. Ma il modo, la misura e gli scopi con cui viene applicata sono molti diversi, e dipendono appunto dall’impostazione più o meno democratica e liberale del Paese. Per questo temiamo che, a proposito della Turchia, sia più prudente parlare di una vittoria solo provvisoria della società civile. Da tempo Erdogan e i suoi stringono progressivamente la stretta, aumentando il controllo sulla società. E in questo processo, le «influenze» straniere, anche quelle più che legittime, sono comunque un ostacolo.

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