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Dal lutto alla testimonianza, i dialoghi di Parents Circle coi giovani

Giulia Ceccutti
10 febbraio 2023
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Dal lutto alla testimonianza, i dialoghi di <i>Parents Circle</i> coi giovani
Giovanissimi israeliani in ascolto dei testimoni di Parents Circle. (foto PCFF)

In un momento storico in cui israeliani e palestinesi sembrano sempre più destinati a non capirsi, torniamo all'esperienza del Forum di famiglie Parents Circle e al suo programma rivolto agli studenti delle scuole superiori. Un'esperienza piccola, sì, ma certamente preziosa.


«Noi non ci arrendiamo. È troppo importante e andremo avanti con questo e con gli altri progetti a cui stiamo lavorando». All’altro capo del telefono, da Tel Aviv, la voce di Robi Damelin è calma ma decisa.

Robi è la portavoce di Parents Circle – Families Forum (Pcff), organizzazione congiunta israeliana e palestinese che riunisce oltre seicento famiglie in lutto. I membri hanno pagato il prezzo più alto a causa del conflitto: la morte di una persona cara.

Nel 2002 Robi ha perso un figlio trentenne, David, mentre era in servizio come ufficiale dell’esercito. Fu ucciso a un check-point nei Territori Occupati da un ragazzo palestinese di ventidue anni. La storia di questa madre, insieme a quella della palestinese Bushra Awad, è narrata, anche in italiano, nel libro Le nostre lacrime hanno lo stesso colore (Edizioni Terra Santa, 2017).

L’annuncio del ministero dell’Istruzione israeliano

Il progetto cui fa riferimento Damelin all’inizio della telefonata è il programma di dialoghi con gli studenti nelle scuole superiori in Israele. Un programma consolidato, che esiste da più di vent’anni, approvato anni fa dal ministero dell’Istruzione. Una delle rare – se non l’unica – occasioni di conoscenza reciproca, proposta ai ragazzi e alle ragazze alle soglie del servizio militare (in Israele, lo ricordiamo, quest’ultimo è obbligatorio, e dura tre anni per i ragazzi, due per le ragazze).

A metà gennaio il ministero dell’Istruzione israeliano ha annunciato l’introduzione di una nuova misura per coloro che organizzano progetti dall’esterno nelle scuole: viene chiesto loro di non criticare o sminuire in alcun modo le forze armate. A molti tale misura è sembrata diretta, in particolare, proprio a Parents Circle.

«Purtroppo, il rischio di cancellazione di questo programma non è affatto nuovo», spiega Robi. «Già alcuni mesi fa era stato osteggiato. Al momento la situazione è piuttosto complicata. Con questo provvedimento, i presidi delle scuole superiori – cui ora spetta approvare o meno i progetti – vengono messi in una posizione difficile e problematica. Molti sono un po’ spaventati. Comprensibilmente, non amano l’idea di mettersi in una posizione rischiosa».

Non tutti plaudono. Ci sono anche genitori che non condividono questo genere di incontri. (foto PCFF)

La nostra interlocutrice aggiunge un elemento ulteriore: «Inoltre, e questo un po’ da sempre, non tutti i genitori sono d’accordo con questo genere di incontri. Alcuni esprimono disapprovazione. Dipende dalle idee che ciascuna famiglia esprime. In sintesi, la questione al momento è senza dubbio complessa».

Storie di cambiamento

Chiediamo a Robi come si svolge in dettaglio il programma e lei puntualizza per prima cosa l’età degli studenti – diciassette anni – e il fatto che gli incontri avvengano proprio prima dell’inizio del servizio militare. «Portiamo nelle classi due membri della nostra associazione, uno israeliano, l’altro palestinese. Ciascuno racconta la propria storia. A volte sono storie di trasformazione, di cambiamento. Poi la discussione si apre alle domande dei ragazzi. Tanti non parlano arabo. Hanno avuto l’opportunità di viaggiare all’estero e di vedere diversi Paesi, ma non conoscono il loro vicino. Questi momenti per molti rappresentano un’opportunità davvero unica di confrontarsi con una persona dell’altro popolo, e di farlo innanzitutto, semplicemente, come esseri umani».

Ogni incontro viene preparato con cura, attraverso riunioni preliminari con gli insegnanti delle classi coinvolte e il dirigente scolastico. Viene prestata attenzione anche all’elaborazione successiva, «perché i docenti dovranno essere in grado di saper gestire il “dopo”, ossia quanto emerge da questo dialogo. Diciassette anni è un’età delicata: se accetteranno di svolgere il servizio militare, entrando nell’esercito, i ragazzi devono essere consapevoli di ciò a cui vanno incontro». L’organizzazione mette a disposizione degli istituti anche un kit educativo, con lezioni e materiali utili.

Di qua e di là del muro di separazione

Il programma si svolge in diverse città d’Israele: Tel Aviv, Haifa, Be’er Sheva… «Andiamo ovunque ci invitino», continua Robi.

Dall’altra parte del muro di separazione, nei Territori Palestinesi, gli incontri non avvengono nelle scuole, ma presso club, circoli e abitazioni di donne. «Abbiamo un bel gruppo di donne palestinesi molto attive», precisa. «Nei Territori, spesso per i giovani questa è la prima volta in cui si trovano di fronte un israeliano che non è un colono, o un soldato in divisa. Il messaggio che ricevono ascoltando le storie dei membri di Parents Circle è che tutti condividiamo lo stesso dolore».

Tornando all’attualità, la risposta che il Forum di famiglie sta elaborando per poter mantenere il programma nelle scuole si articola su più piani. Sui social media ha lanciato una campagna ad hoc per farlo conoscere al pubblico israeliano. Ha attivato nuove collaborazioni con realtà che si occupano di pubblicità e pubbliche relazioni per riuscire a raggiungere un maggior numero di israeliani e allargare il proprio pubblico. Si sta infine preparando per intraprendere una probabile azione legale.

Parecchi ragazzi e ragazze che partecipano a questi dialoghi riconoscono di aver guadagnato prospettive più ampie. (foto PCFF)

Nel tempo, infatti, il progetto ha dato risultati confortanti, sintetizzati, tra le altre cose, da quanto emerso finora dai questionari di valutazione: il 91 per cento degli studenti israeliani ha riportato un’esperienza molto positiva; il 72 per cento ha riferito un aumento del grado di empatia verso l’«altra parte», mentre il 76 per cento ha espresso il desiderio di conoscerla meglio. In sette su dieci, infine, hanno dichiarato un aumento dei propri sentimenti di ottimismo nei confronti della pace.

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