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Due millenni di ebraismo in Italia

Giulia Ceccutti
7 novembre 2022
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Due millenni di ebraismo in Italia

Questo saggio della storica Anna Foa esamina la plurisecolare vicenda della diaspora ebraica in Italia con le sue peculiarità e gli aspetti forse poco noti. Dai rapporti, per forza di cose, ravvicinati con la Chiesa cattolica, al dramma del fascismo.


Pochi dal punto di vista numerico; in stretto rapporto con il tessuto sociale in cui sono inseriti e con la Chiesa; saldamente radicati nella cultura che li circonda, protagonisti di un percorso storico privo di soluzioni di continuità che li differenzia dalle comunità ebraiche di tutti gli altri Paesi, europei e non. Sono gli ebrei italiani come emergono dall’ultimo volume pubblicato dalla storica Anna Foa, a lungo docente di Storia moderna all’Università La Sapienza di Roma e autrice di svariati studi sulla storia della cultura nella prima età moderna e sulla storia degli ebrei.

Il libro ripercorre duemila anni – dal primo secolo dell’era volgare alla fine del Novecento, con un breve approfondimento finale sulla situazione attuale – dal punto di vista della sfaccettata presenza ebraica nel nostro Paese. Di ciascuna epoca offre una miniera di notizie e dati, presentati nella cornice di una sintesi chiara e agile.

Tra le premesse, si precisa che gli ebrei italiani non sono considerabili sefarditi né ashkenaziti, anzi furono almeno in parte all’origine dell’ebraismo diasporico europeo, attraverso l’emigrazione spontanea di ebrei, a partire dal X secolo, da Roma e dal Sud verso la Germania renana.

Per ricordare solo alcuni tra i principali “fili” sempre presenti nella loro storia, citiamo: la complessa relazione con la Chiesa cattolica, cui è collegata la dimensione del ghetto (inteso non solo come chiusura, ma più propriamente come ideologia tesa al controllo e alla conversione); gli stereotipi che, pur mutando nel corso dei secoli, ne ingabbiano l’identità; la specificità del mondo ebraico romano, definito «un ghetto dentro un ghetto», sempre condizionato dalle vicende del papato.

Da segnalare anche, a livello culturale, la «via moderata alla modernità» che caratterizza l’esperienza dell’ebraismo italiano, una linea «intermedia fra ortodossia e riforma», destinata a permanere dall’Ottocento fino a oggi.

Tante le scoperte. Leggiamo, ad esempio, che tra il Duecento e il Trecento dal mondo ebraico venne un rilevante contributo alla nascita della letteratura in volgare, e che l’insediamento ebraico in Puglia si colloca fra i centri più antichi della diaspora occidentale. O che nel Settecento la città di Livorno – dalla metà del Seicento il più importante porto del Mediterraneo – rappresentava la seconda maggiore comunità ebraica in Europa occidentale, oltre che un modello unico di modernizzazione.

O ancora che Roma ebbe, dal 1907 al 1913, un sindaco «straniero» ed ebreo, Ernesto Nathan, la cui amministrazione segnò una rottura forte rispetto al passato e riuscì ad attuare una svolta anche culturale, dando un notevole impulso nel diffondere le idee di Giuseppe Mazzini in Italia.

Numerosi gli interrogativi – non di rado scomodi – che restano aperti, come ad esempio quello su quanto abbia effettivamente attecchito fra gli italiani l’antisemitismo negli anni del regime fascista e oltre («Sul consenso sostanziale del popolo italiano di fronte alle leggi antisemite, sia pure in un regime dittatoriale, calò nel dopoguerra il silenzio»).

Non mancano le domande con ipotesi di risposte multiple, a testimonianza del fatto che la realtà è spesso più intricata di quanto comunemente l’abbiamo immaginata. Una di queste tocca le responsabilità della Chiesa rispetto alle deportazioni di ebrei verso i campi di sterminio nazi-fascisti, o meglio cosa abbia impedito alla Chiesa di denunciarle a voce alta, per bocca del Papa o dei vescovi.

Molteplici i cambi di prospettiva, che sgombrano il campo da verità date per certe senza reale fondamento. È il caso, tra gli altri, dello zelante apporto dato dai fascisti della Repubblica sociale alle deportazioni: «Il ruolo fondamentale svolto dai fascisti di Salò nella deportazione degli ebrei basterebbe da solo, senza bisogno di ricorrere ad altri argomenti, a sfatare il mito degli “italiani brava gente”. Senza l’attiva collaborazione dei fascisti di Salò e di Mussolini gli ebrei arrestati in Italia sarebbero stati in numero molto minore». O del rapporto tra ebrei e Resistenza. Si è ritenuto a lungo, infatti, che la Resistenza italiana abbia fatto ben poco per aiutare gli ebrei e salvarli, mentre è vero che i partigiani si attivarono senza sosta, procurando documenti falsi, aiutando gruppi di ebrei a passare in Svizzera e salvandone il più possibile dalla prigione.

Costanti nel libro i confronti con altri Paesi europei, in particolare la Francia e l’area germanica. Evidenziando le differenze, aiutano a comprendere meglio i tratti peculiari del panorama italiano, e ad esempio portano l’autrice ad affermare, nel caso dell’ottocentesco processo di emancipazione: «Nessuno di questi fattori di specificità (…) porta a definire il percorso di modernizzazione ed emancipazione degli ebrei italiani come una storia di assimilazione, ma semmai come quella di una strada tranquilla di integrazione (…). Vorrei azzardare che, nonostante le interpretazioni, l’Italia sia stata in quegli anni di fine Ottocento il paese occidentale in cui l’emancipazione degli ebrei, lungi dall’essere un fallimento, si è più realizzata senza eccessive perdite dell’identità».

Un libro che si legge con facilità, grazie anche allo stile lineare. Interessanti i “focus” al termine di ciascun capitolo, dedicati di volta in volta a un personaggio di spicco e ad episodi particolarmente significativi, spesso poco noti.

Utili per approfondire, sono i testi a corredo: la ricca bibliografia, l’apparato di note e gli indici dei nomi e dei luoghi, che permettono una lettura trasversale.

Concludendo, val la pena di evidenziare una delle lezioni messe in luce da Anna Foa a chiusura del testo: «Sia la società italiana che il mondo ebraico possono, credo, conoscendo e ricordando questa storia, riconoscere il valore del dialogo, dell’incontro culturale, del meticciato. Gli uni perché devono alla presenza della minoranza ebraica il fatto di aver imparato, nel bene e nel male, a confrontarsi con la diversità, gli altri perché devono all’essere stati minoranza la capacità di aprirsi al mondo, confrontarvisi, misurarvisi. Per molti e diversi motivi, l’Italia ha consentito, più di altri luoghi europei, questo incontro, con conseguenze importanti sulla società, sulla cultura, sulla vita stessa tanto della maggioranza quanto della minoranza».


Anna Foa
Gli ebrei in Italia
I primi 2000 anni
Laterza, 2022
pp. 312 – 24,00 euro

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